Post di Pace...
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Cari lettori, questa settimana per le STORIE DI PACE , che hanno visto la luce solo oggi in ESCLUSIVA sabato 14 settembre, vi ho fatto un...
venerdì 26 novembre 2010
Storie di pace...Aung San Suu Kyi
giovedì 25 novembre 2010
mercoledì 24 novembre 2010
Haiti, il colera non da tregua. Sono 1344 le vittime. L'Onu è sotto accusa
Attivista tibetano condannato a morte
Proposta Letteraria...Il bambino con i petali in tasca
venerdì 19 novembre 2010
Storie di Pace...Temple Grandin
giovedì 18 novembre 2010
Liberato dissidente cubano
lunedì 15 novembre 2010
Finalmente libera Aung San Suu Kyi
“Non perdete la speranza”. Bagno di folla ieri per il primo discorso dopo la libertà della leader birmana Aung San Suu Kyi.
Vestita di blu con un fiore giallo tra i capelli la dissidente birmana Aung San Suu Kyi, liberata sabato dalla giunta militare dopo 7 anni di arresti domiciliari, ha parlato ieri dalla sede del suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia, a Rangoon, davanti a 40 mila persone. “Non perdete la speranza – ha esortato alla folla – C’è democrazia quando il popolo controlla il governo. Accetterò che il popolo mi controlli. Dovete resistere per quello che è giusto. Alla base della libertà democratica deve esserci la libertà di parola.” L’icona della dissidenza birmana ha bisogno del suo popolo e ha detto di “non temere le responsabilità”, aggiungendo di “aver bisogno dell’energia della popolazione” e che ha intenzione di lavorare “per migliorare il livello di vita” in Birmania. “Se vogliamo ottenere quello che vogliamo, dobbiamo farlo nel modo giusto”. La leader democratica birmana ha detto di non nutrire ostilità nei confronti di chi la ha privata della libertà per tanti anni e di essere stata trattata bene. “Gli ufficiali della sicurezza mi hanno trattato bene. Voglio chiedere loro di trattare bene anche il popolo”, ha aggiunto.
Tra le prime questioni di cui si occuperà, secondo gli osservatori, ci sarà la revoca delle sanzioni internazionali, un provvedimento che in passato Suu Kyi aveva appoggiato, ma che ora ritiene colpisca il popolo e non la giunta militare.
sabato 6 novembre 2010
Attacco sventato
L’FBI ha arrestato in Virginia un americano di origine pachistana che progettava di far saltare in aria alcune stazioni metro dell’aria di Washington. L’uomo, 34 anni, aveva incontrato più volte negli ultimi mesi agenti sotto copertura che fingevano di essere emissari di Al Qaida. Il sospetto terrorista aveva detto agli agenti che intendeva uccidere più persone possibile in attacchi simultanei contro almeno quattro stazioni della metropolitana della capitale nel corso del 2011.
Torture, l’ONU chiede indagini a USA e Iraq
L’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, Navi Pillay ha chiesto a Washington e Baghdad di indagare sulle accuse di torture emerse dai documenti riservati del Pentagono sulla guerra in Iraq diffusi dal sito Wikileaks. In un comunicato pubblicato su sito dell’ONU, la Pillay sottolinea che secondo i documenti gli americani hanno continuato a consegnare prigionieri agli iracheni pur sapendo che questi praticavano le la tortura. Secondo la Pillay, i documenti denunciano gravi violazioni delle leggi internazionali a protezione dei diritti umani e indicano come molti civili siano stati uccisi in maniera sommaria. Al momento l’Iraq non ha ratificato la sua adesione alla Convenzione contro la tortura e quindi i funzionari dell’ONU non possono esigere di ispezionare le carceri del Paese. Dal canto suo in alcune interviste, il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, rivela che “qualcuno, come Daniel Ellsberg, l’uomo che nel 1971 svelò i documenti del Pentagono sulla guerra del Vietnam, sostiene che la mia vita è in pericolo”. “Credo che un rischio ci sia – precisa -, piccolo ma non insignificante. C’è un rischio serio che venga processato e arresto. Stanno cercando di montare un caso di spionaggio contro di me e altri membri dell’organizzazione”. E in effetti alcuni esponenti della destra statunitense, irritati per la fuga di notizie riservate che il Pentagono non è riuscito ad arginare, propongono di trattare Assange come combattente nemico, ovvero spedirlo nel carcere di Guantanamo.