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Storie di Pace



Nelson Rolihlahla Mandela (Mvezo, 18 luglio 1918Johannesburg, 5 dicembre 2013) è stato un politico sudafricano, primo presidente a essere eletto dopo la fine dell'apartheid nel suo Paese e premio Nobel per la pace nel 1993 insieme al suo predecessore Frederik Willem de Klerk. Fu a lungo uno dei leader del movimento anti-apartheid ed ebbe un ruolo determinante nella caduta di tale regime, pur passando in carcere gran parte degli anni dell'attivismo anti-segregazionista. Protagonista insieme al presidente Frederik Willem de Klerk dell'abolizione dell'apartheid all'inizio degli anni Novanta, venne eletto presidente nel 1994, nelle prime elezioni multirazziali del Sudafrica, rimanendo in carica fino al 1999. Il suo partito, l'African National Congress, è rimasto da allora ininterrottamente al governo del paese. Mandela è il cognome assunto dal nonno. Il nome "Rolihlahla" (letteralmente "colui che provoca guai") gli fu attribuito alla nascita; "Nelson" gli fu invece assegnato alle scuole elementari. Il nomignolo Madiba è il suo nome all'interno del clan di appartenenza, dell'etnia Xhosa. Nelson Mandela mosse i primissimi passi verso la conquista della libertà degli uomini nel 1941, all'età di ventidue anni, quando insieme al cugino Justice fu messo di fronte all'obbligo di doversi sposare con una ragazza scelta dal capo Thembu Dalindyebo. Questa imposizione di matrimonio combinato era una condizione che né Mandela né il cugino volevano tollerare. La scelta era molto delicata: o si sposava e andava contro il suo massimo principio, cioè la libertà, oppure non si sposava mancando così di rispetto alla sua tribù e alla famiglia. Così decise di scappare insieme al cugino, in direzione della città di Johannesburg. Da giovane studente di legge, Mandela fu coinvolto nell'opposizione al minoritario regime sudafricano, che negava i diritti politici, sociali, civili alla maggioranza nera sudafricana. Unitosi all'African National Congress (ANC) nel 1942, due anni dopo fondò l'associazione giovanile Youth League, insieme a Walter Sisulu, Oliver Tambo e altri. Dopo la vittoria elettorale del 1948 da parte del Partito Nazionale, autore di una politica pro-apartheid di segregazione razziale, Mandela si distinse nella campagna di resistenza del 1952 organizzata dall'ANC, ed ebbe un ruolo importante nell'assemblea popolare del 1955, la cui adozione della Carta della Libertà stabilì il fondamentale programma della causa anti-apartheid. Durante questo periodo Mandela e il suo compagno avvocato Oliver Tambo fondarono l'ufficio legale Mandela e Tambo fornendo assistenza gratuita o a basso costo a molti neri che sarebbero rimasti altrimenti senza rappresentanza legale. Inizialmente coinvolto nella battaglia di massa, fu arrestato insieme ad altre 150 persone il 5 dicembre 1956, e accusato di tradimento. Seguì un aggressivo processo, durato dal 1956 al 1961, al termine del quale tutti gli imputati furono assolti. Mandela e i suoi colleghi appoggiarono la lotta armata dopo l'uccisione di manifestanti disarmati a Sharpeville, nel marzo del 1960, e la successiva interdizione dell'ANC e di altri gruppi anti-apartheid. Nel 1958 aveva sposato in seconde nozze Winnie Madikizela, da cui poi si separò nel 1992. Nel 1961 divenne il comandante dell'ala armata Umkhonto we Sizwe dell'ANC ("Lancia della nazione", o MK), della quale fu co-fondatore. Coordinò la campagna di sabotaggio contro l'esercito e gli obiettivi del governo, ed elaborò piani per una possibile guerriglia per porre fine all'apartheid. Raccolse anche fondi dall'estero per il MK, e dispose addestramenti para-militari, visitando vari governi africani. Nell'agosto 1962 fu arrestato dalla polizia sudafricana, in seguito a informazioni fornite dalla CIA, notizie che però lo stesso Mandela nella sua biografia ritiene non attendibili, e fu imprigionato per 5 anni con l'accusa di viaggi illegali all'estero e incitamento allo sciopero. Durante la sua prigionia, la polizia arrestò importanti capi dell'ANC, l'11 luglio 1963 presso la Liliesleaf Farm, di Rivonia. Mandela fu considerato fra i responsabili, e insieme ad altri fu accusato di sabotaggio e altri crimini equivalenti al tradimento (ma più facili per il governo da dimostrare). Joel Joffe, Arthur Chaskalson e George Bizos fecero parte della squadra di difesa che rappresentò gli accusati. Tutti, a eccezione di Rusty Bernstein, furono ritenuti colpevoli e condannati all'ergastolo, il 12 giugno 1964. L'imputazione includeva il coinvolgimento nell'organizzazione di azione armata, in particolare di sabotaggio (del cui reato Mandela si dichiarò colpevole) e la cospirazione per aver cercato di aiutare gli altri Paesi a invadere il Sudafrica (reato del quale Mandela si dichiarò invece non colpevole). Per tutti i successivi 26 anni, Mandela fu sempre maggiormente coinvolto nell'opposizione all'apartheid, e lo slogan "Nelson Mandela Libero" divenne l'urlo di tutte le campagne anti-apartheid del Mondo. Mentre era in prigione, Mandela riuscì a spedire un manifesto all'ANC, pubblicato il 15 giugno 1980.

Rifiutando un'offerta di libertà condizionata in cambio di una rinuncia alla lotta armata (febbraio 1985), Mandela rimase in prigione fino al febbraio del 1990. Le crescenti proteste dell'ANC e le pressioni della comunità internazionale portarono al suo rilascio l'11 febbraio 1990, su ordine del Presidente sudafricano F.W. de Klerk, e alla fine dell'illegalità per l'ANC. Mandela e de Klerk ottennero il Premio Nobel per la pace nel 1993. Mandela era già stato in precedenza premiato con il Premio Lenin per la pace nel 1962 e il Premio Sakharov per la libertà di pensiero nel 1988. Durante la sua detenzione, durata appunto 26-27 anni, Mandela lesse molti testi, poemi, poesie, liriche, libri in lingua afrikaner (olandese) e inglese, lingua che nel corso della detenzione imparò a perfezione conoscendo grammatica e parlato del gergo comune. In particolare come spiegò il presidente dopo l'elezione come capo-guida della Repubblica del Sud Africa, una poesia in inglese del poeta Britannico William Ernest Henley, del 1875, dal nome Invictus, dal latino "invitto", o "invincibile" della raccolta Vita e Morte (Echi), pubblicata per la prima volta nel 1888 all'interno del libro Book of Verses. Questa poesia per Mandela è stata, la principale causa del suo continuare la vita in prigione nell'arco di 26, lunghi anni. La poesia viene anche presa come fonte d'ispirazione per il lungometraggio di Clint Eastwood, Invictus, con la partecipazione dell'attore Matt Damon, nel ruolo del capitano degli Springbok, anno 1990-1995, François Pienaar, e di Morgan Freeman. Divenuto libero cittadino e Presidente dell'ANC (luglio 1991 - dicembre 1999) Mandela concorse contro De Klerk per la nuova carica di presidente del Sudafrica e vinse, diventando il primo capo di stato di colore. De Klerk fu nominato vice presidente. Come presidente, (maggio 1994 - giugno 1999), Mandela presiedette la transizione dal vecchio regime basato sull'apartheid alla democrazia, guadagnandosi il rispetto mondiale per il suo sostegno alla riconciliazione nazionale e internazionale. Tale transizione fu portata avanti tramite l'istituzione, da parte dello stesso Mandela, di un tribunale speciale, la cosiddetta Commissione per la Verità e la Riconciliazione (Truth and Reconciliation Commission, TRC). Un ruolo particolare Mandela svolse nell'ispirare e consigliare i rappresentanti dello Sinn Féin irlandese, impegnati nelle trattative di pace con il governo britannico. Alcuni esponenti radicali furono delusi dalle mancate conquiste sociali durante il periodo del suo governo, nonché dall'incapacità del governo di dare risposte efficaci al dilagare dell'HIV/AIDS nel Paese. Mandela stesso ammise, dopo il suo congedo, che forse aveva commesso qualche errore nel calcolare il possibile pericolo derivante dal diffondersi dell'AIDS. Anche la decisione di impegnare le truppe sudafricane per opporsi al golpe del 1998 in Lesotho fu una scelta controversa. Il 18 luglio 1998, giorno del suo ottantesimo compleanno, si sposò (per la terza volta) con Graca Machel. Dopo aver abbandonato la carica di presidente nel 1999, Mandela ha proseguito il suo impegno e la sua azione di sostegno alle organizzazioni per i diritti sociali, civili e umani. Ha ricevuto numerose onorificenze, incluso l'Order of St. John dalla Regina Elisabetta II e la Presidential Medal of Freedom da George W. Bush. Mandela è una delle due persone di origini non indiane (l'altra è Madre Teresa) ad aver ottenuto il Bharat Ratna, il più alto riconoscimento civile indiano (nel 1990). A testimonianza della sua fama va ricordata la visita del 1998 in Canada, durante la quale allo Skydome di Toronto parlò in una conferenza a 45.000 studenti che lo salutarono con intensi applausi. Nel 2001 ha ricevuto l'Ordine del Canada, primo straniero a ricevere la cittadinanza onoraria canadese. Nel giugno 2004, all'età di ottantacinque anni, Mandela ha annunciato di volersi ritirare dalla vita pubblica e di voler passare il maggior tempo possibile con la sua famiglia, finché le condizioni di salute glielo avessero concesso. Ha comunque fatto un'eccezione nel luglio 2004 confermando il suo duraturo impegno nella lotta contro l'Aids recandosi a Bangkok per parlare alla XV conferenza internazionale sull'AIDS. Il 23 luglio 2004, con una cerimonia tenutasi a Orlando, Soweto, la città di Johannesburg gli ha conferito la più alta onorificenza cittadina, il "Freedom of the City", paragonabile alla consegna delle chiavi della città. Il 27 giugno 2008 a Londra, in Hyde Park, si è svolto un grande concerto per ricordare i suoi novant'anni, il suo impegno nella lotta contro il razzismo e il suo contributo alla lotta contro l'AIDS. A sorpresa Nelson Mandela ha voluto essere presente al concerto, accolto da una straordinaria ovazione di circa 500 000 persone. Ai lati del palco campeggiava il numero 46664, il numero che era scritto sulla sua giubba durante la permanenza in carcere. Mandela ha pronunciato un breve discorso in cui ha ribadito le ragioni del suo impegno civile e politico, dopo aver ringraziato per la straordinaria manifestazione di affetto e di rispetto nei suoi confronti. Il 18 luglio 2009, giorno del suo novantunesimo compleanno, un fantasmagorico tributo chiamato "Mandela Day" gli hanno riservato i grandi dello spettacolo, della politica e della cultura mondiale (tra cui Carla Bruni col marito Nicolas Sarkozy, Stevie Wonder, Aretha Franklin, Gloria Gaynor, l'italiano Zucchero, ecc.) al Radio City Music Hall di New York (USA). Durante i mondiali di calcio in Sudafrica del 2010, da lui fortemente voluti non ha potuto presiedere alla cerimonia di apertura a causa di un grave lutto in famiglia: la nipote tredicenne, infatti, ha perso la vita in un incidente automobilistico proprio alla vigilia della manifestazione; tuttavia ha presenziato, a sorpresa, alla cerimonia di chiusura, poco prima che le due finaliste scendessero in campo. La casa in cui Mandela abitò a Soweto è oggi sede del Mandela Family Museum, dedicato alla vita di Mandela. Il 28 marzo 2013 viene ricoverato in un ospedale di Pretoria per una grave infezione polmonare, connessa ad una tubercolosi subita durante il periodo di prigionia; viene dimesso dopo pochi giorni, il 6 aprile 2013[9] Due mesi dopo, l'8 giugno 2013, viene nuovamente ricoverato in condizioni preoccupanti ma stabili. Nella notte del 24 giugno 2013 le condizioni di Madiba si aggravano notevolmente, sempre in relazione alla grave infezione polmonare connessa alla vecchia tubercolosi. La mattina del 27 giugno, la famiglia viene convocata d'urgenza all'ospedale di Pretoria. La figlia maggiore, Makaziwe, ha parlato alla radio pubblica SABC, dichiarando: "Non voglio mentire. Mio padre è in uno stato molto critico. Può accadere da un momento all'altro - ha annunciato la primogenita di Madiba -. Papà è ancora tra noi, risponde al contatto. Dio sa quando sarà il momento. Aspettiamo con lui, con papà, che è ancora con noi, aprendo gli occhi e reagendo quando viene toccato"[11]. Il 4 luglio 2013 viene dichiarato in stato vegetativo permanente, ma la notizia viene successivamente smentita. Nelson Mandela è morto intorno alle 20:50 del 5 dicembre 2013 nella sua casa di Johannesburg, circondato dall'affetto dei suoi familiari; a darne il triste annuncio è stato il presidente del Sudafrica, Jacob Zuma, in diretta televisiva. Mandela si è sposato tre volte. La prima moglie è stata Evelyn Ntoko Mase dalla quale ha divorziato nel 1957, dopo tredici anni di matrimonio. Il suo secondo matrimonio con Winnie Madikizela, che lo aveva sostenuto negli anni di carcerazione, è terminato con una separazione nell'aprile 1992 e il definitivo divorzio nel marzo 1996, alimentato da forti contrasti politici. A ottant'anni Mandela ha poi sposato Graça Machel, vedova di Samora Machel, presidente fondatore mozambicano e alleato dell'ANC morto in un incidente aereo sedici anni prima.












Rigoberta Menchú Tum (Uspantán, 9 gennaio 1959) è una pacifista guatemalteca, che ha ricevuto nel 1992 il Premio Nobel per la Pace, dato a lei "in riconoscimento dei suoi sforzi per la giustizia sociale e la riconciliazione etno-culturale basata sul rispetto per i diritti delle popolazioni indigene" Il premio le è stato conferito in parte per la sua biografia del 1987, Mi chiamo Rigoberta Menchú, curata dall'antropologa Elisabeth Burgos. La Menchú sostiene di aver iniziato a lavorare come bracciante agricola migrante all'età di 5 anni, in condizioni che causarono la morte dei suoi fratelli e dei suoi amici. Da adulta, si unì a membri della sua famiglia in azioni contro i militari per i loro abusi dei diritti umani. La violenza la costrinse all'esilio nel 1981. Nel 1991 prese parte alla stesura da parte delle Nazioni Unite di una dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni. Dopo un po' di tempo Rigoberta Menchú è ritornata in Guatemala per lavorare al cambiamento del suo paese. Nel 1999 ha inoltre cercato di far processare in un tribunale spagnolo l'ex dittatore militare Efraín Ríos Montt, per crimini commessi contro cittadini spagnoli; tali tentativi sono stati comunque senza esito. In aggiunta alla morte di cittadini spagnoli, le accuse più gravi comprendono il genocidio contro la popolazione Maya del Guatemala. Nel 2002 Rigoberta Menchú Tum è stata insignita della cittadinanza onoraria di Caorle (Venezia). Nel 2007, in occasione delle elezioni presidenziali del 9 settembre, si è candidata a capo della sinistra, ricevendo appena il 3% dei voti.











Eunice Mary Kennedy Shriver e Special Olympics (Brookline, 10 luglio 1921Cape Cod, 11 agosto 2009) era la quinta figlia di Joseph P. Kennedy e Rose Fitzgerald, e sorella di John Fitzgerald Kennedy. Il 23 maggio 1953 ha sposato Robert Sargent Shriver, che fu Ambasciatore degli Stati Uniti d'America in Francia dal 1968 al 1970 e candidato alla Vice Presidenza per il Partito Democratico alle Elezioni presidenziali statunitensi del 1972. È fondatrice delle Special Olympics dedicate agli atleti affetti dalla Sindrome di Down. È morta l'11 agosto 2009, due settimane esatte prima del fratello Ted.
Special Olympics Inc. è l'associazione sportiva internazionale che organizza, con cadenza quadriennale, i Giochi Olimpici Speciali. L'associazione è membro di SportAccord e riconosciuta dal Comitato Olimpico Internazionale. Fondata da Eunice Kennedy Shriver negli Usa nel 1968, propone ed organizza allenamenti ed eventi per persone con disabilità intellettiva e per ogni livello di abilità. Predispone un programma internazionale di allenamento sportivo e competizioni atletiche per 2.500.000 ragazzi ed adulti con disabilità intellettiva. Nel mondo sono 180 i Paesi che adottano il programma Special Olympics, e più di tre milioni di membri di famiglie ed 1.000.000 di volontari aiutano a realizzare ogni anno circa 23.000 grandi eventi. In Italia è riconosciuta dal CONI come Associazione benemerita dal 2004 e dal CIP dal 2008. Ogni anno organizza Giochi Nazionali e Regionali in 10 discipline sportive; annualmente una rappresentativa italiana viene chiamata a partecipare alternativamente ai Giochi Mondiali (Invernali o Estivi) o a quelli Europei. Nell'ottobre 2006 sono stati organizzati a Roma i Giochi Olimpici Speciali giovanili d'Europa (Special Olympics European Youth Games), ai quali hanno partecipato 1.500 atleti provenienti da 55 Paesi di Europa ed Eurasia. Il 3 dicembre 2007, Giornata Mondiale della Disabilità, la Delegazione di Atleti e Tecnici, di ritorno dai Giochi Mondiali di Shanghai, è stata ricevuta al Quirinale dal Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, che ha assegnato alle Special Olympics una Targa al merito sportivo della Presidenza. Hanno ricoperto il ruolo di Presidente di Special Olympics Italia: Alessandro Palazzotti - dal 1994 al 2003 Federico Vicentini - dal 2003 al 2005 Angelo Moratti - dal 2005 al 2012 Maurizio Romiti - dal 2012 ad oggi. Angelo Moratti, che insieme ad Alessandro Palazzotti e Federico Vicentini ricopre la carica di Vicepresidente nazionale, fa anche parte del consiglio d'amministrazione di Special Olympics International Inc.











Wangari Muta Maathai (Ihithe, 1º aprile 1940Nairobi, 25 settembre 2011) è stata un'ambientalista, attivista politica e biologa keniota. Nel 2004 è diventata la prima donna africana ad aver ricevuto il Premio Nobel per la Pace per «il suo contributo alle cause dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace». È stata membro del parlamento keniota e Assistente Ministro per l'Ambiente e le Risorse Naturali nel governo del presidente Mwai Kibaki, fra il gennaio 2003 e il novembre 2005. Appartiene all'etnia kikuyu. Fu la prima donna centrafricana a laurearsi, nel 1966 in biologia, presso l'Università di Pittsburgh, dove aveva potuto recarsi grazie al programma "Ponte aereo Kennedy" (che forniva una borsa di studio ai migliori studenti africani) e dove lavorò dallo stesso 1966 presso la facoltà di Biologia, dipartimento di zoologia. Nel 1976 si iscrisse nel Consiglio nazionale delle donne del Kenya, assumendone la presidenza nel 1981, che mantenne fino al 1987, anno in cui abbandonò l'associazione. Attivista e fondatrice del Green Belt Movement, intraprese negli anni novanta una forte campagna di sensibilizzazione verso i problemi della natura e del disboscamento in particolare. Green Belt Movement, fondato nel 1977, nacque come organizzazione non governativa: per suo tramite sono stati piantati oltre 40 milioni di alberi in Kenya per combattere l'erosione. Nel 2004 ha affermato che, a suo parere, l'HIV è un virus creato in laboratorio "per sterminare i neri." Il 10 febbraio 2006 ha partecipato alla Cerimonia di apertura dei XX Giochi olimpici invernali di Torino 2006, portando per la prima volta nella storia la bandiera olimpica insieme ad altre sette celebri donne. Ha anche partecipato al congresso internazionale Foederatio Pueri Cantores come rappresentante del Kenya. Malata di tumore da lungo tempo, è scomparsa nel settembre 2011 all'età di 71 anni.









Medici Senza Frontiere (per brevità MSF, nota anche come Médecins Sans Frontières, Doctors Without Borders, Médicos Sin Fronteras) è un'organizzazione internazionale privata che si prefigge lo scopo di portare soccorso sanitario ed assistenza medica nelle zone del mondo in cui il diritto alla cura non sia garantito. È stata fondata nel 1972 da alcuni medici Francesi, tra cui Bernard Kouchner che ne uscì nel 1978. Oggi è attiva in 19 paesi del mondo industrializzato e interviene in attività di assistenza in più di 80 paesi. È un'organizzazione che si professa indipendente rispetto a governi e partiti politici e agisce senza porre discriminazioni di razza, religione, sesso o opinione. MSF è costituita da cinque sezioni operative in FranciaBelgioSvizzeraPaesi Bassi e Spagna che gestiscono direttamente i progetti nelle aree di intervento e li sostengono con: attività di raccolta fondi;  reclutamento dei volontari;  informazione sui media; sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Alcune delle sezioni partner gestiscono dei progetti sul terreno, per delega di una delle sezioni operative. In questo ambito, MSF Italia gestisce, dall'inizio del 2005, dei progetti in Brasile, Perù(chiuso nel 2007), ColombiaHaitiEtiopiaIraq e tutti i progetti sul territorio Italiano. In Italia MSF è un'Organizzazione non governativa e dal 1998 anche una Onlus legalmente riconosciuta. Nel 1999 Medici Senza Frontiere ricevette il Premio Nobel per la pace, con la seguente motivazione: "Il Comitato norvegese del Nobel ha deciso di premiare con il Premio Nobel per la Pace per il 1999 Medici Senza Frontiere (MSF), come riconoscimento per il lavoro umanitario pionieristico che l’organizzazione ha realizzato in vari continenti. Fin dalla sua fondazione nei primi anni ’70, MSF ha aderito al principio fondamentale che tutte le vittime di un disastro, sia naturale sia di origini umane, hanno diritto a un’assistenza professionale, fornita con le maggiori celerità ed efficienza possibili. I confini nazionali e le circostanze e le simpatie politiche non devono influenzare la decisione su chi debba ricevere aiuto umanitario. Mantenendo un alto livello di indipendenza, l’organizzazione è riuscita a portare avanti questi ideali. Intervenendo con rapidità, MSF porta all’attenzione pubblica le catastrofi umanitarie, e segnalando le cause di tali catastrofi, l’organizzazione aiuta a formare la pubblica opinione contro la violenza e l’abuso di potere. In situazioni critiche, segnate dalla violenza e dalla brutalità, il lavoro umanitario di MSF ha permesso all’organizzazione di creare aperture per contatti fra le parti opposte. Allo stesso tempo, ogni aiuto coraggioso e disponibile al sacrificio mostra alle vittime un volto umano, testimonia il rispetto per la dignità della persona ed è una fonte di speranza per la pace e la riconciliazione"MSF ha deciso di investire simbolicamente i fondi ricevuti con il Nobel nel lancio della Campagna per l’Accesso ai Farmaci Essenziali[1]. La Campagna è da anni impegnata in azioni di monitoraggio e denuncia per individuare e modificare i meccanismi di mercato che stanno all’origine dell’inaccessibilità dei farmaci essenziali per milioni di persone prive di risorse economiche. Oltre 30 anni di esperienza sul campo hanno infatti dimostrato che la mancanza di cure uccide più di guerre e catastrofi naturali. L'infettivologo Carlo Urbani, morto nel marzo 2003 in Vietnam mentre si occupava dell'emergenza SARS, è stato membro e presidente di MSF Italia. In occasione della tragedia dello tsunami nel sud-est asiatico, il 29 dicembre 2004, 72 ore dopo che il violento tsunami del 26 dicembre aveva colpito il Sudest asiatico, i primi volontari di MSF avevano già raggiunto le zone maggiormente colpite. Dopo una prima valutazione dei bisogni, MSF aveva deciso di concentrare le proprie azioni principalmente nella provincia di Aceh, a nord dell’isola di Sumatra, in Indonesia e lungo le coste settentrionali, orientali e meridionali dello Sri Lanka. All’indomani del maremoto, il 27 dicembre, MSF aveva lanciato una campagna di raccolta fondi straordinaria per raccogliere almeno 1,5 milioni di euro per avviare i primi soccorsi. MSF era consapevole del fatto che l’immediatezza dell’intervento avrebbe potuto fare la differenza nel salvare la vita a migliaia di persone. In pochi giorni, MSF aveva già ricevuto oltre 90 milioni di euro a livello internazionale. Solo in Italia, erano stati raccolti 9 milioni di euro. Cifre che superavano i bisogni finanziari preventivati da MSF per fare fronte alle conseguenze dello tsunami: MSF, in quanto organizzazione di soccorso medico, era infatti intervenuta in un’ottica di risposta dell’emergenza umanitaria, e non in un’ottica di ricostruzione e sviluppo di lungo periodo, ambiti di competenza di altre organizzazioni. Per questo motivo, con una decisione assai controversa e dibattuta in Italia e nel resto del mondo, MSF, già il 4 gennaio 2005, e cioè dopo soli 9 giorni dal maremoto, aveva annunciato la sospensione della raccolta fondi dedicata all’emergenza Tsunami. Un'iniziativa ampiamente riportata dai mass media italiani e da quelli del resto del mondo. L'attività di Medici Senza Frontiere viene finanziata con donazioni. La maggior parte di queste donazioni (circa l'85%) proviene da sostenitori privati (in Italia, i sostenitori abituali di MSF sono circa 250.000). Una piccola percentuale delle donazioni è dovuta all'azione dei "dialogatori", in genere studenti universitari, che pubblicizzano le iniziative di MSF per le strade. Attualmente MSF-Italia è impegnata in due importanti azioni di sensibilizzazioneLa prima per chiedere alla multinazionale farmaceutica Novartis di rinunciare a una causa intentata contro il Governo Indiano che, se vinta, limiterebbe ulteriormente la disponibilità di farmaci economici e di qualità per i Paesi più poveri. La seconda iniziativa, intitolata "Dimmi di più", mira a chiedere ai direttori dei principali giornali e TG italiani di dedicare più spazio a ciò che accade nei Paesi più poveri e alle crisi umanitarie. I volontari di Medici Senza Frontiere sono obbligati a seguire questi principi, in tutte le parti del mondo in cui l'associazione è presente: i Medici Senza Frontiere – MSF prestano la loro opera di soccorso alle popolazioni povere, alle vittime delle catastrofi di origine naturale o umana, alle vittime delle guerre, senza discriminazione alcuna, sia essa razziale, religiosa, filosofica o politica; operando nello spirito di neutralità e in completa imparzialità, i Medici Senza Frontiere rivendicano, in nome dell’etica professionale universale e del diritto all’assistenza umanitaria, la totale libertà nell’esercizio della loro funzione; si impegnano a rispettare i principi deontologici previsti dalla professione nonché a mantenere una totale indipendenza da qualsiasi potere e da ogni forza politica, economica o religiosa;
in qualità di volontari, sono al corrente dei rischi e dei pericoli presenti nelle missioni che compiono astenendosi, quindi, dal reclamare, per sé o per altri aventi diritto, compensi diversi da quelli che l’associazione sarà in grado di fornire loro.







Martin Luther King
Martin Luther King nasce dopo un parto difficile ad Atlanta, Georgia, nel Sud degli Stati Uniti, dove il problema razziale è sentito con angoscia e urgenza particolari. Questo bambino che il 15 gennaio 1929 sembra entrare così malvolentieri nel mondo ha una storia le cui radici affondano nel suolo afro- americano. I suoi antenati erano stati catturati con violenza inaudita dai negrieri e portati dall'Africa in catene sul continente americano per esservi venduti nei mercati ai migliori offerenti. Milioni di neri, uomini e donne, venivano strappati alla loro terra e fatti schiavi per lavorare, fino allo stremo delle loro forze, nelle piantagioni di cotone. Sorse e tramontò il sole per 200 lunghi anni, giorno dopo giorno, e gli antenati di Martin Luther King venivano comprati, venduti, violentati e uccisi come fossero bestie. Dopo una cruenta guerra fra gli Stati del Nord, che volevano imporre il loro modello di sviluppo, e gli Stati del Sud, parve arrivare la libertà per i neri sul suolo americano. Ma dopo un periodo piuttosto favorevole, furono ricacciati, anno per anno, nella condizione servile, specialmente nel Sud. I proprietari terrieri avevano escogitato la maniera di fare indebitare sempre di più i lavoratori neri, ai quali era anche negato nella pratica di partecipare alle elezioni.
«Lavorare dall'alba al tramonto per un anno intero incatenato alla terra dai conti da pagare al magazzino della piantagione, scacciare questi pensieri con cattivo gin, dimenticare nell'estasi del canto e della preghiera... piangere, maledire se stesso per la propria viltà, essere lo zimbello dei giudici e dei poliziotti, finire col credere alla propria indegnità... e infine cedere, inchinarsi, strisciare, sorridere e odiare se stesso per il proprio servilismo e la propria debolezza». Questo era il tormento del nonno paterno di Martin Luther King, James Albert, e di tutti i neri; questo era l'incubo che assillava i loro bambini I in casa e negli edifici fatiscenti della scuola, dove gli studenti di colore ricevevano un'istruzione che era di molto inferiore a quella dei bianchi. Nelle strade e nelle piazze delle città si vedevano dappertutto cartelli con la scritta «solo per bianchi», e la vita dei neri si consumava per lo più nei ghetti sudici e sovrappopolati privi di strutture e di servizi appena decenti. Qui Martin Luther King nasce, vive e comincia a lottare fin dalla sua fanciullezza. Fin dall'infanzia Martin Luther King deve subire i traumi I dei bambini che scoprono di essere diversi e discriminati in i una società razzista. Ha cinque anni quando la madre dei suoi compagni bianchi proibisce loro di giocare col piccolo Martin, perché «negro». A otto anni apprende dal padre con: dolore la tragica fine della sua prediletta cantante Bessie Smith, celebre interprete di spirituals, canti di fede e di speranza degli schiavi delle piantagioni del Sud: ferita in uno scontro automobilistico, muore dissanguata perché rifiutata dagli ospedali per bianchi di Atlanta. Ancora impreparato a reagire, queste ed altre esperienze amare gli rimangono scolpite per sempre nell'animo. La discriminazione che Martin Luther King deve subire e che vede colpire la sua gente gli consiglia gli studi di giurisprudenza. Entra nel Morehouse College di Atlanta (università per soli neri), ma, divenuto consapevole di essere chiamato da Dio al servizio pastorale, dopo qualche anno passa agli studi di teologia. Nel 1952, a 22 anni, tiene la sua prima predicazione nella chiesa battista di Atlanta. È un periodo di rivolgimenti storici profondi e di portata mondiale, come la Il Guerra Mondiale, nella quale gli Stati Uniti entrano il17 dicembre 1941, e la conquista dell'indipendenza delle colonie europee in Africa, Asia e America. Martin Luther King è affascinato dalla figura di Gandhi, dal quale apprende i principi della lotta non-violenta. Nel 1953 si laurea in filosofia a Boston e nel 1954 si trasferisce con la moglie Coretta Scott a Montgomery, Alabama, per svolgervi il ministero di pastore della chiesa battista. Martin Luther King coglie quello che il Nuovo Testamento chiama kairos, cioè il momento opportuno nel quale l'opera di Dio Viene colta nel mondo e sfida l'uomo a una scelta di fede che lo impegna a vivere con coerenza la volontà di Dio nella storia. La scintilla che dà inizio al Movimento per i Diritti Civili scocca a Montgomery, apparentemente per un banale incidente. Sugli autobus della città le prime tre file di posti sono riservate ai bianchi, le altre possono essere occupate da neri solo se non ci sono bianchi in piedi. Il pomeriggio del 10 dicembre 1955 un'impiegata nera, Rosa Parks, seduta dietro i posti riservati ai bianchi, rifiuta di alzarsi e cedere il posto quando salgono alcuni viaggiatori bianchi: viene arrestata e portata in carcere. La notizia si diffonde rapidamente, gli esponenti e i pastori della comunità nera s'incontrano e decidono subito di boicottare i mezzi pubblici di trasporto: propongono ai neri di non prendere più l'autobus e di recarsi al lavoro a piedi o con altro mezzo. L'esito appare incerto, perché altre volte simili iniziative non avevano avuto successo; intanto Martin Luther King è votato all'unanimità capo del movimento. La mattina del 5 dicembre tutti i neri vanno a lavorare a piedi, a dorso di mulo, su carri. Il boicottaggio è totale fino al dicembre dell'anno successivo: 382 giorni dura la lotta tutt'altro che facile, e il movimento ottiene la sua prima vittoria: l'abolizione della segregazione sui mezzi pubblici di trasporto. Le reazioni dei bianchi sono violente: hanno paura. La compagnia degli autobus ha perso 40 milioni di dollari. Martin Luther King diviene il bersaglio di minacce d'ogni genere e viene arrestato. Il 30 giugno, mentre si trova fuori fra la sua gente, un attentato dinamitardo gli distrugge la casa; la moglie e la figlia Yoki sono dentro, ma restano fortunatamente illese. Martin Luther King è ormai il simbolo della «rivoluzione nera». Teso fino al limite delle sue risorse fisiche e morali per tutti gl'impegni che deve assolvere, una sera del gennaio 1956 Martin Luther King è sul punto di crollare. L'atmosfera è densa di nubi e i pericoli sono molto reali, ed egli, seduto in cucina, confida a Dio di non farcela più. «Eccomi qui - prega - mi batto per ciò che credo giusto. Ma ho paura. Mi chiedono di guidarli, ma se mi presento loro senza forza e senza coraggio anch'essi vacilleranno. Ho esaurito le mie forze. Non mi rimane nulla». E mentre è lì, solo, sperimenta la «presenza di Dio», avverte «la promessa rassicurante d'una voce interiore che gli dice: "Lotta per la giustizia. Lotta per la pace. Dio sarà sempre al tuo fianco!"». L'esperienza di fede, caratteristica della tradizione evangelica battista, determina, come egli stesso dice, una svolta fondamentale nella sua vita: era giunto allo stremo delle sue forze, ora, però, si sente forte della forza di Dio ed è pronto a riprendere la lotta. Martin Luther King partecipa a manifestazioni di massa e a raduni, e viene spesso arrestato. E ogni volta si rafforza il suo impegno per la giustizia, si rinvigorisce la sua fede in Dio e nella Sua guida, e il suo coraggio di lottare e la sua certezza di vincere si comunicano ad altri esponenti del movimento e alla sua gente. Il movimento si estende ben presto a tutti gli Stati Uniti. Il pellegrinaggio di preghiera a Washington del 17 maggio 1957 per il pieno diritto di voto ai neri è una delle manifestazioni più importanti. Martin Luther King riesce a convogliare le forze disgregate dei neri nella lotta non violenta, ma ha anche oppositori che propugnano il ricorso alla violenza contro il razzismo bianco. Mentre si moltiplicano i sit-in nei locali pubblici per bianchi e i “viaggi della libertà” di bianchi e neri insieme in autobus attraverso gli Stati Uniti, Martin Luther King risponde ai detrattori «Non possiamo in coscienza obbedire alle vostre leggi Inique, perché la non cooperazione col male è un obbligo morale non meno della cooperazione col bene… Mandate a mezzanotte i vostri sicari incappucciati nelle nostre case, pestateci e lasciateci quasi morti, e noi vi ameremo ancora. Ma siate certi che vinceremo con la nostra capacità di soffrire. Un giorno conquisteremo la libertà, non per noi stessi solo... e la nostra vittoria sarà anche vostra".
Nel 1963, centenario del proclama di Lincoln per l'affrancamento degli schiavi, la battaglia non violenta dilaga in più di 800 città. A Birmingham la polizia si scaglia con ferocia sui dimostranti che cantano We shall overcome, sguinzaglia i cani e aziona gl'idranti contro un corteo inerme di ragazzi. Sotto la pressione dell'opinione pubblica inorridita il Governo dichiara illegale la segregazione nei negozi e nei luoghi pubblici e decreta l'assunzione al lavoro per bianchi e neri su basi egualitarie. Arrestato, Martin Luther King scriive in cella d'isolamento una lettera rimasta famosa: «E facile dire: "aspettate". Ma quando avete visto una plebaglia inferocita linciare a volontà le vostre madri e i vostri padri... e i poliziotti pieni d'odio maledetto colpire e perfino uccidere impunemente i vostri fratelli e le vostre sorelle... quando sentite la vostra lingua torcersi se cercate di spiegare alla vostra bambina di sei anni perché non può andare al luna- park, e vedete spuntarle le lacrime quando sente che è chiuso ai bambini neri... quando vi perseguita notte e giorno il fatto di essere nero, non sapendo mai che cosa vi può accadere; allora voi comprendete perché per noi è tanto difficile aspettare». Il 28 agosto arriva a Washington la marcia dei 250 mila per chiedere l'approvazione della legge sulla parità dei diritti civili per bianchi e neri. Le telecamere di tutto il mondo sono puntate sulla marea di bianchi e di neri che cantano e pregano intorno al monumento a Lincoln, e riprendono anche quello che è stato definito il discorso profetico di Martin Luther King.
«Il cammino è pieno di asprezze, ma nonostante le fatiche e le umiliazioni, ho ancora un sogno. Sogno che sulle rosse colline della Georgia i figli degli antichi schiavi e degli schiavisti possano sedere insieme al tavolo della fratellanza. Sogno che lo Stato del Mississipi, rigonfio d'oppressione e di brutalità, sia trasformato in terra di libertà e di giustizia. Sogno che un giorno l'Alabama sia trasformato in uno Stato dove bambine e bambini neri potranno dare la mano a bambine e bambini bianchi, e camminare insieme come fratelli e sorelle... Con questa fede torno nel Sud. Con questa fede staccheremo alla montagna dell'angoscia una scheggia di speranza. Con questa fede potremo lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme, andare in prigione insieme, sapendo che un giorno saremo liberi. Quando ciò avverrà, tutti i figli di Dio, bianchi e neri, ebrei e pagani, evangelici e cattolici, potranno giungere le mani e cantare l'antico inno degli schiavi: "Finalmente liberi! Finalmente liberi! Gran Dio onnipotente, siamo finalmente liberi!"».
La legge per i diritti civili viene approvata il 10 febbraio 1964. Quella marcia pacifista e la figura di Martin Luther King hanno risonanza in tutto il mondo e le sue predicazioni e i suoi scritti vengono tradotti e letti in molti Paesi, ed anche in Italia: Il fronte della coscienza, Marcia verso la libertà, Perché non possiamo attendere, Dove stiamo andando: verso il caos o la comunità?, La forza di amare. Il 14 ottobre lo raggiunge un telegramma da Stoccolma: «Il premio Nobel per la pace è stato assegnato a Martin Luther King per aver fermamente e continuamente sostenuto il principio della non-violenza nella lotta razziale nel suo Paese». Coretta piange di gioia davanti ai giornalisti: «...valeva la pena di soffrire tanto. A Martin servirà per continuare gli sforzi nella lotta per l'uguaglianza dei neri», e i 34 milioni del premio vengono messi a disposizione della causa alla quale Martin Luther King ha dedicato la vita. Tra mille difficoltà e molti oppositori Martin Luther King corre da una parte all'altra degli Stati Uniti a premere per le riforme richieste e il movimento si allarga alla lotta contro la povertà e contro il coinvolgimento degli USA nella guerra del Vietnam. Nel marzo 1968 sta preparando «il pellegrinaggio della miseria nazionale»: poveri di tutte le razze muoveranno da tutte le parti degli Stati Uniti e contemporaneamente verso Washington con bambini e stracci sulle loro carrette. Il 27 marzo a Memphis, Tennessee, 6 mila nerj escono da una chiesa evangelica e attraversano in corteo la città per solidarietà con 1.700 spazzini neri in sciopero. Martin Luther King è in testa al corteo quando, all'improvviso, alcuni giovani ne escono per spaccare vetrine e saccheggiare negozi. La polizia interviene e carica i dimostranti: un morto e sessanta feriti. Il 4 aprile 1968 Martin Luther King è con altri leader neri in una stanza dell'Hotel Lorraine a Memphis, è sconvolto, teme per le sorti del movimento della non-violenza. Il giorno prima ha detto: «vivere a lungo ha i suoi aspetti positivi. Ma la cosa non m'interessa. Voglio solo fare la volontà di Dio». Esce sulla terrazza per una boccata d'aria, alle 18.01 si volta per rientrare e si accascia improwisamente al suolo: un colpo è partito, da una finestra 60 metri più in là un dito ha premuto sul grilletto d'un fucile. Ai funerale sono migliaia le persone d'ogni ceto e razza: riconoscono in lui qualcosa di più d'un simbolo o di un lea-der, riconoscono in lui un profeta di Dio che ha interpretato il tormento d'un popolo e lo ha guidato con la non-violenza nella lotta dei propri diritti. Durante il rito, celebrato dal vecchio padre di Martin Luther King, risuonano nel silenzio della chiesa battista di Ebenezer le parole d'una sua predicazione registrate su nastro: «Se qualcuno di voi sarà qui nel giorno della mia morte, sappia che non voglio un grande funerale. E se incaricherete qualcuno di pronunciare un'orazione funebre, raccomandategli che non sia troppo lunga. Ditegli di non parlare del mio premio Nobel, perché non ha importanza... Dica che una voce gridò nel deserto per la giustizia. Dica che ho tentato di spendere la mia vita per vestire gl'ignudi, per nutrire gli affamati, che ho tentato di amare e servire l'umanità».








 Don Tonino Bello

Antonio Bello, meglio conosciuto come don Tonino (Alessano, 18 marzo 1935Molfetta, 20 aprile 1993), è stato un vescovo cattolico italiano. La Congregazione per le Cause dei Santi ne ha avviato il processo di beatificazione. Figlio di un carabiniere e di una casalinga di una famiglia del basso Salento, trascorse l'infanzia in Alessano, un paese a prevalentemente economia agricola. Assistette alla morte dei fratellastri e del padre. Dopo gli studi presso i seminari di Ugento e di Molfetta, don Tonino venne ordinato sacerdote l'8 dicembre 1957 e incardinato nella diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca. Due anni dopo conseguì la licenza in Sacra Teologia presso la Facoltà teologica dell'Italia settentrionale e nel 1965 discusse presso la Pontificia Università Lateranense la tesi dottorale intitolata I congressi eucaristici e il loro significato teologico e pastorale. Nel frattempo, gli era stata affidata la formazione dei giovani presso il seminario diocesano di Ugento, del quale fu per 22 anni vice-rettore. Dal 1969 fu anche assistente dell'Azione Cattolica e quindi vicario episcopale per la pastorale diocesana. Nel 1978 il vescovo Michele Mincuzzi lo nominò amministratore della parrocchia Sacro Cuore di Ugento, e l'anno successivo parroco della Chiesa Matrice di Tricase. Qui avrebbe mostrato una particolare attenzione nei confronti degli indigenti, sia con l'istituzione della Caritas sia con la promozione di un osservatorio delle povertà. Il 10 agosto 1982 fu nominato vescovo della diocesi di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi e, il 30 settembre dello stesso anno, vescovo della diocesi di Ruvo. Ricevette l'ordinazione episcopale il 30 ottobre 1982 dalle mani di monsignor Mincuzzi, arcivescovo di Lecce e già vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, coconsacranti il vescovo Aldo Garzia, che aveva lasciato pochi mesi prima la cattedra di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi, e l'arcivescovo Mario Miglietta, della diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca. Sin dagli esordi, il ministero episcopale fu caratterizzato dalla rinuncia a quelli che considerava segni di potere (per questa ragione si faceva chiamare semplicemente don Tonino) e da una costante attenzione agli ultimi: promosse la costituzione di gruppi Caritas in tutte le parrocchie della diocesi, fondò una comunità per la cura delle tossicodipendenze, lasciò sempre aperti gli uffici dell'episcopio per chiunque volesse parlargli e spesso anche per i bisognosi che chiedevano di passarvi la notte. Sua la definizione di "Chiesa del grembiule" per indicare la necessità di farsi umili e contemporaneamente agire sulle cause dell'emarginazione. Nel 1985 venne indicato dalla presidenza della Conferenza Episcopale Italiana a succedere a monsignor Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, nel ruolo di guida di Pax Christi, il movimento cattolico internazionale per la pace. In questa veste si ricordano diversi duri interventi: tra i più significativi quelli contro il potenziamento dei poli militari di Crotone e Gioia del Colle, e contro l'intervento bellico nella Guerra del Golfo, quando manifestò un'opposizione così radicale da attirarsi l'accusa di istigare alla diserzione. A seguito dell'unificazione delle diocesi di Molfetta, Giovinazzo, Terlizzi e Ruvo, disposta dalla Congregazione per i Vescovi il 30 settembre 1986, viene nominato primo vescovo della nuova circoscrizione ecclesiastica pugliese. Nel settembre 1990 fondò, coadiuvato dal movimento Pax Christi, a Molfetta (Bari) la rivista mensile Mosaico di Pace. Benché già operato di tumore allo stomaco, il 7 dicembre 1992 partì insieme a circa cinquecento volontari da Ancona verso la costa dalmata dalla quale iniziò una marcia a piedi che lo avrebbe condotto dentro la città di Sarajevo, da diversi mesi sotto assedio serbo a causa della guerra civile. L'arrivo nella città assediata, tenuta sotto tiro da cecchini serbi che potevano rappresentare un pericolo per i manifestanti, fu caratterizzato da maltempo e nebbia. Don Tonino parlò di "nebbia della Madonna" (celebrata, appunto, in data 8 dicembre). Tra il 1990 e il 1992 ha scritto alcuni articoli sul quotidiano Il Manifesto. Morì a Molfetta il 20 aprile 1993, e l'anno successivo gli fu conferito il Premio Nazionale Cultura della Pace alla memoria[1]. Il 27 novembre 2007 la Congregazione per le Cause dei Santi ne ha avviato il processo di beatificazione. In data 30 aprile 2010 si è tenuta la prima seduta pubblica nella cattedrale di Molfetta alla presenza di autorità religiose e civili.




Muhammad Yunus (in lingua bengalese: Muhammod Iunus) (Chittagong, 28 giugno 1940) è uneconomista e banchiere bengalese. È ideatore e realizzatore del microcredito, ovvero di un sistema di piccoli prestiti destinati adimprenditori troppo poveri per ottenere credito dai circuiti bancari tradizionali. Per i suoi sforzi in questo campo ha vinto il premio Nobel per la pace 2006. Yunus è anche il fondatore dellaGrameen Bank, di cui è stato direttore dal 1983 al 2011. Yunus consegue la Laurea in Economia presso l’Università di Chittagong (Bangladesh) e in seguito il Dottorato di Ricerca in Economia presso l'Università Vanderbilt di Nashville (Tennessee, U.S.A.) nel 1969. È stato professore di Economia presso la Middle Tennessee State University, U.S.A., dal 1969 al 1972, quindi direttore del Dipartimento di Economia dell’Università di Chittagong (Bangladesh) dal 1972 al 1989. Verso la metà del 1974 il Bangladesh fu colpito da una violenta inondazione, a cui seguì una grave carestia che causò la morte di centinaia di migliaia di persone. Il paese è periodicamente devastato da calamità naturali e presenta una povertà strutturale in cui il 40% della popolazione non arriva a soddisfare i bisogni alimentari minimi giornalieri. Fu in quest'occasione che Yunus si rese conto di quanto le teorie economiche che egli insegnava fossero lontane dalla realtà. Decise, dunque, di uscire nelle strade per analizzare l’economia di un villaggio rurale nel suo svolgersi quotidiano. La conclusione che egli trasse dall'analisi fu la consapevolezza che la povertà non fosse dovuta all'ignoranza o alla pigrizia delle persone, bensì al carente sostegno da parte delle strutture finanziare del paese. Fu così che Yunus decise di mettere la scienza economica al servizio della lotta alla povertà, inventando il microcredito. Il suo primo prestito fu di soli 27 dollari USA, che prestò ad un gruppo di donne del villaggio di Jobra (vicino all'Università di Chittagong), che producevano mobili in bambù. Esse erano costrette a vendere i prodotti del loro lavoro a coloro dai quali avevano preso in prestito le materie prime ad un prezzo da essi stabilito. Questo riduceva drasticamente il margine di guadagno di queste donne e le condannava di fatto alla povertà. D'altra parte, le banche tradizionali non erano (e non sono) interessate al finanziamento di progetti tanto piccoli che offrivano basse possibilità di profitto a fronte di rischi elevati. Soprattutto le banche non avevano alcuna intenzione di concedere prestiti a donne, tanto più se non potevano offrire garanzie. Yunus e i suoi collaboratori cominciarono a battere a piedi centinaia di villaggi del poverissimo Bangladesh, concedendo in prestito pochi dollari alle comunità, somme minime che servivano per attuare iniziative imprenditoriali. Tale intervento ha avviato un circolo virtuoso, con ricadute sull'emancipazione femminile, avendo Yunus fatto leva sulle donne affinché fondassero cooperative che coinvolgessero ampi strati della popolazione. Il "sistema Yunus" ha provocato un cambiamento di mentalità anche all'interno della Banca Mondiale, che ha cominciato ad avviare progetti simili a quelli della Grameen. Il microcredito è diventato così uno degli strumenti di finanziamento utilizzati in tutto il mondo per promuovere lo sviluppo economico e sociale, diffuso in oltre 100 Stati, dagli Stati Uniti all'Uganda. "In Bangladesh, dove non funziona nulla - disse una volta Yunus - il microcredito funziona come un orologio svizzero". Nel 1976 Yunus fondò la Grameen Bank, prima banca al mondo ad effettuare prestiti ai più poveri tra i poveri basandosi non già sullasolvibilità, bensì sulla fiducia.Da allora, la Grameen Bank ha erogato più di 5 miliardi di dollari ad oltre 5 milioni di richiedenti. Per garantirne il rimborso, la banca si serve digruppi di solidarietà, piccoli gruppi informali destinatari del finanziamento, i cui membri si sostengono vicendevolmente negli sforzi di avanzamento economico individuale ed hanno la responsabilità solidale per il rimborso del prestito. Con il passare del tempo la Grameen Bank ha realizzato soluzioni diversificate per il finanziamento delle piccole imprese. Oltre al microcredito, la banca offre mutui per la casa e per la realizzazione di moderni sistemi di irrigazione e di pesca, nonché servizi di consulenza nella gestione dei capitali di rischio e, alla stregua di ogni altra banca, di gestione dei risparmi. Il successo della Grameen ha ispirato numerosi altri esperimenti del genere nei paesi in via di sviluppo e in numerose economie avanzate. Il modello del microcredito ideato dalla Grameen è stato applicato in oltre 20 Paesi in Via di Sviluppo: molti di questi progetti, come avviene per la Grameen stessa, sono imperniati soprattutto intorno al finanziamento di imprese femminili. Più del 90% dei prestiti della Grameen è infatti destinato alle donne: tale politica è motivata dall'idea che i profitti realizzati dalle donne siano più frequentemente destinati al sostentamento delle famiglie.



Gene Sharp (21 gennaio 1928) è un filosofo politico e intellettuale statunitense. Conosciuto per i suoi studi sulla nonviolenza e sulla disobbedienza civile, Gene Sharp è stato soprannominato "il Clausewitz della guerra nonviolenta". Gene Sharp è stato il fondatore, nel 1983, dell'Albert Einstein Institute per «lo studio e l'utilizzo della nonviolenza nei conflitti di tutto il mondo». Il suo pensiero e i suoi testi sono considerati fonte di ispirazione per i movimenti studenteschi e popolari che hanno condotto in particolare le Rivoluzioni colorate negli stati indipendenti un tempo parte dell'Unione Sovietica che hanno rovesciato pacificamente i governi in carica sostituendoli con nuovi governi più filo-occidentali. Tre i suoi testi tradotti in italiano: Politica dell'Azione Nonviolenta, Verso un'Europa inconquistabile (nel quale sosteneva la possibilità di una resistenza popolare basata su gruppi di azione nonviolenta e di disobbedienza civile) e La via della non-violenza. Particolarmente diffuso, grazie all'aspetto pratico ed interdisciplinare, anche il manuale in 198 punti sui metodi dell'azione non violenta. L'entità del contributo dato dal pensiero di Gene Sharp e dell'Einstein Institute nelle Rivoluzioni colorate è stato al centro di polemiche. Secondo alcuni giornalisti e commentatori, l'Einstein Institute avrebbe avuto un ruolo attivo (anche di addestramento) nelle insurrezioni e sarebbe stata parte di un progetto più ampio di espansione della sfera di influenza occidentale, ed in particolare statunitense, negli stati post comunisti. Gene Sharp, rispondendo ad alcune di queste critiche, ha invece affermato come la sua opera sia funzionale alla creazione ed analisi di un insieme di tattiche, cioè di un semplice strumento.
«L'azione non violenta è una tecnica per condurre conflitti, al pari della guerra, del governo parlamentare, della guerriglia. Questa tecnica usa metodi psicologici, sociali, economici e politici. Essa, è stata usata per obiettivi vari, sia "buoni" che "cattivi"; sia per provocare il cambiamento dei governi sia per supportare i governi in carica contro attacchi esterni. Il suo utilizzo è unicamente responsabilità e prerogativa delle persone che decidono di utilizzarlo».
La presenza di alcuni ricercatori dell'Einstein Institute durante alcune insurrezioni anti russe, a partire dagli eventi di piazza Tienanmen, sarebbe stata motivata dalla volontà di studiare sul campo i movimenti in azione, e non avrebbe avuto alcun ruolo a monte se non quello di ispirazione.



Angelo Frammartino (Roma, 28 aprile 1982 – Gerusalemme, 10 agosto 2006) è stato un pacifista italiano. Laureando in giurisprudenza, era volontario in una missione di pace a Gerusalemme presso il centro denominato "La torre del Fenicottero" per aiutare i bambini, prime vittime del conflitto israelo-palestinese. È stato accoltellato da un palestinese il quale, arrestato, ha confessato alla polizia israeliana di avere inteso uccidere un ebreo. La sua morte ha commosso l'Italia. Tantissimi sono stati gli attestati di vicinanza che la famiglia ed i suoi amici hanno ricevuto per l'impegno di Angelo per la pace, la non violenza, il dialogo fra i popoli e la solidarietà verso i più deboli. Al suo funerale, celebrato il 15 agosto 2006 nel Duomo di Monterotondo, la città dove viveva, hanno partecipato personalità istituzionali e migliaia di comuni cittadini di ogni parte d’Italia. In tanti sono giunti anche da Caulonia, in provincia di Reggio Calabria, paese d’origine della famiglia Frammartino, dove Angelo aveva molti amici. Molte sono le iniziative, in tutta Italia e all’estero, per ricordare Angelo e gli ideali di pace e non violenza per cui ha perso la vita. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in data 12 gennaio 2007, gli ha conferito la medaglia d’oro al merito civile alla memoria che è stata ritirata dai familiari il 9 novembre 2007 durante la cerimonia solenne presso la Prefettura di Roma. In tanti avevano chiesto al Presidente della Repubblica l’assegnazione della massima onorificenza civile, tra questi: i ragazzi di Gerusalemme, di Caulonia e Monterotondo, i Consigli della Regione Lazio, della Provincia di Roma e del Comune di Monterotondo, la cooperativa sociale Amandla ed il Comune di Caulonia. Nel febbraio 2007 è nata a Monterotondo l'associazione "Amici di Angelo Frammartino".
Il 25 settembre 2007 è stata costituita a Monterotondo la Fondazione Angelo Frammartino ONLUS che promuove i valori della pace, della non violenza e della solidarietà. Ne fanno parte: i familiari di Angelo, i suoi amici, rappresentanti delle istituzioni italiane, israeliane e palestinesi e molti simpatizzanti.




Malcolm X, nato Malcolm Little, anche noto come Detroit Red, El-Hajj Malik El-Shabazz e Omowale (Omaha, 19 maggio 1925 – New York, 21 febbraio 1965), è stato un attivista statunitense a favore dei diritti degli afroamericani e dei diritti umani in genere.
Fu assassinato a New York il primo giorno della Settimana Nazionale della Fratellanza per mano di membri dell'organizzazione Nation of Islam. È considerato uno dei più grandi, ma anche controversi, leader afroamericani del XX secolo. Sostenne che la religione islamica fosse capace di abbattere ogni barriera razziale e ogni forma di discriminazione. Storicamente, agli schiavi neri negli Stati Uniti d'America veniva assegnato il cognome dei loro padroni. Sebbene non fosse figlio di schiavi, l'origine del suo cognome di nascita era riconducibile ai padroni presso cui avevano servito un tempo i suoi antenati. La scelta di "X" come cognome volle dunque rappresentare il rifiuto di accettare questo legame anagrafico con i padroni di un tempo. Malcolm X nacque a Omaha, in Nebraska, figlio di Earl e Louise Little. Suo padre era un predicatore battista e sostenitore di Marcus Garvey, assassinato nel 1931 da un gruppo di sostenitori della "supremazia bianca", paradossalmente denominato Black Legion (Legione Nera). La madre di Malcolm era per metà bianca perché sua madre era stata violentata da un bianco e in seguito fu dichiarata legalmente non sana di mente e la famiglia si disperse. Lo stesso Malcolm fu affidato a una famiglia di tutori. Malcolm terminò la junior high school ottenendo i migliori risultati della sua classe ma, stando a quanto scritto nella sua autobiografia, abbandonò quando il suo insegnante preferito gli disse senza mezzi termini che diventare un avvocato di fama non era "un obiettivo realistico per un negro". Lasciata la scuola, Malcolm si trasformò in uno sbandato; i primi problemi con la legge lo portarono in un centro di detenzione, da cui uscì per trasferirsi per qualche tempo a Boston, presso la sorella maggiore Ella Little Collins. In seguito trovò lavoro come lustrascarpe presso un night club; nella sua autobiografia, avrebbe ricordato di aver lustrato le scarpe a Duke Ellington e altri grandi musicisti neri. Inoltre trovò anche lavoro come cameriere in un treno. Trasferitosi poi nel quartiere di Harlem, a New York, si diede a una serie di attività illegali fra cui spaccio di droga, gioco d'azzardo, prostituzione, estorsione e rapina. Quando fu esaminato per la leva durante la Seconda guerra mondiale, i medici lo trovarono psichicamente non adatto; in seguito, Malcolm X sostenne di aver finto una patologia mentale per evitare le armi. Il 12 gennaio 1946, all'età di 20 anni, Malcolm fu arrestato e condannato a dieci anni con l'accusa di violazione di domicilio, possesso illegale di armi da fuoco e furto. Alla Charlestown State Prison si guadagnò il soprannome di Satana per il suo continuo bestemmiare urlando al cielo, specialmente contro Dio e la Bibbia. Nel 1948, mentre era in carcere, Malcolm ricevette una lettera dal fratello Reginald che gli chiedeva di unirsi alla Nation of Islam(NOI). La NOI si autodefiniva una "setta islamica militante". La sua tesi centrale era che la maggior parte degli schiavi africani erano musulmani prima di venire catturati e che quindi i neri avrebbero dovuto riconvertirsi all'Islam. La NOI era inoltre un gruppo "nazionalista nero", ossia auspicava la creazione di una nazione nera separata all'interno degli Stati Uniti. I membri della NOI arrivavano fino a considerare i non-neri, e in particolar modo gli ebrei e gli anglosassoni, dei "subumani". Malcolm fu affascinato dagli insegnamenti del leader della NOI, Elijah Muhammad. Con l'aiuto della sorella, riuscì a ottenere il trasferimento in una colonia penale a Norfolk dove aveva maggiore libertà; divenne un avido lettore e cercò nella storia e nella filosofia argomenti a favore delle teorie della NOI. Per arricchire la propria cultura e migliorare la propria grafia, arrivò a trascrivere a mano un intero dizionario; quindi, iniziò a corrispondere con Elijah Muhammad quotidianamente. Alla fine, Malcolm X fu rilasciato sulla parola, il 7 agosto 1952. Appena uscito di prigione, Malcolm X si recò da Elijah Muhammad, a Chicago. Fu in questo periodo che ricevette il cognome "X" per simboleggiare il rifiuto del suo "cognome da schiavo" e l'assenza di un vero cognome africano-musulmano. Nel marzo del 1953, la CIA iniziò a controllare le azioni di Malcolm; apparentemente questo aveva a che vedere col fatto che, secondo alcuni informatori, Malcolm X definiva se stesso un "comunista". Nell'archivio della CIA comparivano anche due lettere firmate da Malcolm X con lo pseudonimo "Malachi Shabazz"; il cognome "Shabazz", secondo Elijah Muhammad, era un riferimento a una discendenza da una antica "nazione asiatica nera". Nel maggio dello stesso anno, la CIA concluse che Malcolm X aveva una "personalità asociale con tendenze paranoiche (schizofrenia paranoide pre-psicotica)". Nello stesso anno, Malcolm si trasferì definitivamente presso Elijah Muhammad a Chicago, per tornare poi a Boston con il ruolo di "Ministro del Tempio Numero 2 della Nazione dell'Islam". Nei tempi successivi aprì numerosi altri templi, diventando ministro di molti di essi. La sua predicazione portò moltissimi proseliti alla NOI; tra i più celebri si ricorda Cassius Clay che proprio aderendo alla NOI decise di cambiare il proprio nome in Muhammad Ali. Ben presto Malcolm X divenne il numero due del movimento e il braccio destro di Elijah Muhammad. Fra il 1952 e il 1963, certamente anche grazie all'enorme carisma di Malcolm, la NOI passò da 500 a 30.000 iscritti. Grazie al suo temperamento infatti lui riuscì anche a convincere una donna di nome Maria MaddalenaFickerman a non sposarsi acquisendo cosi il nome di "prete". Nel 1958, Malcolm sposò Betty X a Lansing, nel Michigan. Ebbero sei figlie, tutte chiamate "Shabazz": la prima fu Attallah, nata nel 1958; cui seguirono Qubilah, nata nel 1960; Ilyasah, nata nel 1962; Gamilah Lumumba, nata nel 1964, e le gemelle Malaak e Malikah, nate dopo la morte di Malcolm nel 1965. Mentre lavorava per la NOI, Malcolm X giunse a conoscenza di alcune avventure extraconiugali di Elijah Muhammad. Lo stesso Elijah si difese sostenendo che, come "inviato di Dio", aveva il diritto di avere più mogli; tuttavia, egli non era sposato con nessuna delle giovani segretarie con cui ebbe relazioni e giunse anche a metterle incinte tutte. Malcolm si rifiutò di mettere la cosa a tacere e se ne mostrò contrariato ma non abbandonò il movimento. Nell'estate del 1963, Malcolm si rese conto che Elijah e molti altri Ministri di alto livello della NOI erano gelosi della sua popolarità. Progressivamente in conflitto con l'organizzazione, Malcolm espresse la propria critica circa la Marcia su Washington dicendo che non trovava nulla di eccitante in una dimostrazione "fatta da bianchi davanti alla statua di un presidente morto da cento anni e al quale, quando era vivo, noi non piacevamo". Nello stesso anno, in occasione dell'assassinio di John F. Kennedy, Malcolm commentò piuttosto freddamente che la violenza che i Kennedy non erano riusciti a fermare gli si era "ritorta contro", aggiungendo che questo genere di cose non lo intristiva ma lo rendeva felice. Queste dichiarazioni causarono un enorme scalpore e alla fine la NOI rinnegò le parole di Malcolm, vietandogli di parlare in pubblico per novanta giorni. Molte di queste posizioni, che dividevano il movimento per i diritti dei neri, lo allontanarono ancora di più dall'altro grande leader afroamericano, già da lui in passato duramente contestato, Martin Luther King, sostenitore della nonviolenza e avvicinatosi inoltre a Kennedy. Nella primavera del 1963, Malcolm iniziò a collaborare con Alex Haley alla scrittura del libro Autobiografia di Malcolm X. L'8 marzo 1964 dichiarò pubblicamente la sua separazione dalla NOI e il 12 marzo annunciò la creazione di un nuovo movimento chiamato Muslim Mosque, Inc.. La principale differenza ideologica fra il movimento creato da Malcolm X e la NOI è l'abbandono del presupposto religioso come elemento di coesione per il popolo nero. Nel frattempo, tuttavia, Malcolm X si convertì all'islamismo ortodosso. Il 13 aprile del 1964, Malcolm lasciò gli Stati Uniti per recarsi in viaggio prima in Egitto e poi a Jeddah, in Arabia Saudita. Non essendo in grado di parlare arabo, e avendo un passaporto statunitense, ebbe qualche difficoltà a entrare nel paese; tuttavia, grazie all'intervento della stessa famiglia reale saudita, riuscì alla fine a completare il suo pellegrinaggio. Durante questa esperienza religiosa, arrivò per la prima volta a concepire l'Islam come una religione capace di abbattere qualsiasi barriera razziale. Il 21 maggio 1964, Malcolm X tornò negli Stati Uniti come sunnita, col nuovo nome El-Hajj Malik El-Shabazz. Durante un importante discorso indirizzato all'intera nazione, proclamò: “I diritti umani sono qualcosa che avete dalla nascita. I diritti umani vi sono dati da Dio. I diritti umani sono quelli che tutte le nazioni della Terra riconoscono.”
In passato, è vero, ho condannato in modo generale tutti i bianchi. Non sarò mai più colpevole di questo errore; perché adesso so che alcuni bianchi sono davvero sinceri, che alcuni sono davvero capaci di essere fraterni con un nero. Il vero Islam mi ha mostrato che una condanna di tutti i bianchi è tanto sbagliata quanto la condanna di tutti i neri da parte dei bianchi. Da quando alla Mecca ho trovato la verità, ho accolto fra i miei più cari amici uomini di tutti i tipi - cristiani, ebrei, buddhisti, indù, agnostici, e persino atei! Ho amici che si chiamano capitalisti, socialisti, e comunisti! Alcuni sono moderati, conservatori, estremisti - alcuni sono addirittura degli "Zio Tom"! Oggi i miei amici sono neri, marroni, rossi, gialli e bianchi! Insieme a A. Peter Bailey e altri, Malcolm fondò il distaccamento statunitense della Organizzazione per l'Unità Afro-americana o OAAU. Ispirandosi alla Organizzazione per l'Unità Africana (OAU), la OAAU decise di adottare un atteggiamento non religioso e non settario nella difesa dei diritti umani. Il 14 febbraio 1965, Malcolm e la sua famiglia sopravvissero a un attentato dinamitardo contro la loro abitazione. Una settimana dopo, il 21 febbraio, durante un discorso in pubblico a Manhattan, Malcolm fu ucciso, all'età di 39 anni, da diversi colpi di arma da fuoco. I funerali di Malcolm X, tenutisi il 27 febbraio 1965 a Harlem, raccolsero oltre 1.500.000 persone. Tre membri della Nation of Islam (N.O.I.) furono arrestati per il suo assassinio: Talmadge Hayer, Norman 3X Butler e Thomas 15X Johnson, e condannati per omicidio nel marzo del 1966, tuttavia il solo Hayer confessò le proprie responsabilità sull'omicidio, mentre in seguito vennero fatti altri nomi sui mandanti, tutti in seno alla Nation of Islam. Malcolm X insieme a Martin Luther KingÈ probabile che Malcom X temesse da tempo per la propria vita. Nel 1964, la rivista Life aveva pubblicato una famosa fotografia di Malcolm X con una carabina in mano, intento a tirare la tenda della sua finestra per controllare fuori. La foto era accompagnata dalla scritta "con tutti i mezzi necessari", e si riferiva alle minacce di morte subite da Malcolm X e alla sua affermazione che "si sarebbe difeso". Talmadge Hayer conosciuto anche come Thomas Hagan ha ottenuto la libertà condizionale e il 27 aprile 2010 è uscito dal carcere.



Rosa Louise Parks (all'anagrafe Rosa Louise McCauley; Tuskegee, 4 febbraio 1913 – Detroit, 24 ottobre 2005) è stata un’attivista statunitense afroamericana, figura-simbolo del movimento per i diritti civili statunitense, famosa per aver rifiutato nel 1955 di cedere il posto dell'autobus ad un bianco, dando così origine al boicottaggio degli autobus di Montgomery. Figlia di James McCauley e Loeona McCauley, di confessione metodista, nel 1932 sposò Raymond Parks, attivo nel movimento dei diritti civili. Ha passato buona parte della sua vita a lavorare come sarta in un grande magazzino nella città dove risiedeva, Montgomery. A partire dal 1943, Parks aderì al Movimento per i Diritti Civili americano e diventò segretaria della sezione di Montgomery della National Association for the Advancement of Colored People (NAACP). A metà del 1955 iniziò a frequentare un centro educativo per i diritti dei lavoratori e l'uguaglianza razziale, la Highlander Folk School. Il 1º dicembre del 1955, a Montgomery, Rosa, allora <> [1], stava tornando a casa in autobus e, poiché l'unico posto a sedere libero era nella parte anteriore del mezzo, quella riservata ai bianchi, andò a sedersi lì. Poco dopo salirono sull'autobus alcuni passeggeri bianchi, al che il conducente James Blake le ordinò di alzarsi e andare nella parte riservata ai neri. Rosa però si rifiutò di lasciare il posto a sedere e spostarsi nella parte posteriore del pullman: stanca di essere trattata come una cittadina di seconda classe (per giunta costretta anche a stare in piedi), ella rimase al suo posto. Il conducente fermò così l'automezzo, e chiamò due poliziotti per risolvere la questione: Rosa Parks fu arrestata e incarcerata per condotta impropria e per aver violato le norme cittadine. Quella notte, cinquanta leader della comunità afro-americana, guidati dall'allora sconosciuto pastore protestante Martin Luther King si riunirono per decidere le azioni da intraprendere per reagire all'accaduto, mentre c'erano già state le prime reazioni violente: il giorno successivo incominciò il boicottaggio dei mezzi pubblici di Montgomery, protesta che durò per 381 giorni; dozzine di pullman rimasero fermi per mesi finché non fu rimossa la legge che legalizzava la segregazione. Questi eventi diedero inizio a numerose altre proteste in molte parti del paese. Lo stesso King scrisse sull'episodio descrivendolo come "l'espressione individuale di una bramosia infinita di dignità umana e libertà" "Rimase seduta a quel posto in nome dei soprusi accumulati giorno dopo giorno e della sconfinata aspirazione delle generazioni future". Nel 1956 il caso della signora Parks arrivò alla Corte Suprema degli Stati Uniti d'America, che decretò, all'unanimità[1], incostituzionale la segregazione sui pullman pubblici dell'Alabama. Da quel momento, la Parks divenne un'icona del movimento per i diritti civili. Sebbene non fosse una dei leader del movimento per i diritti civili che si stava sviluppando nell'ultima parte degli anni cinquanta, la figura di Rosa rimaneva un simbolo importantissimo per gli attivisti, ed era quindi mal vista dagli ambienti contrari alla protesta nera. Ricevette numerose minacce di morte e non riuscì a trovare più lavoro, quindi si trasferì a Detroit, nel Michigan, all'inizio degli anni sessanta, dove ricominciò a lavorare come sarta. Dal 1965 al 1988 lavorò come segretaria per il membro del Congresso John Conyers. Nel febbraio del 1987 Parks fondò il Rosa and Raymond Parks Institute for Self Development insieme a Elaine Eason Steele in onore del marito Raymond Parks. Nel 1999 ha ottenuto la medaglia d'oro al merito del Congresso. È morta a Detroit per cause naturali il 24 ottobre del 2005.



Madre Teresa di Calcutta (26 agosto 1910- 5 settembre 1997) Gonxha (Agnese) Bojaxhiu, la futura Madre Teresa, è nata il 26 agosto 1910 a Skopje (ex Jugoslavia). Fin da piccola riceve un'educazione fortemente cattolica dato che la sua famiglia, di cittadinanza albanese, era profondamente legata alla religione cristiana. Già verso il 1928, Gonxha sente di essere attratta verso la vita religiosa, cosa che in seguito attribuirà ad una "grazia" fattale dalla Madonna. Presa dunque la fatidica decisione, è accolta a Dublino dalle Suore di Nostra Signora di Loreto, la cui Regola si ispira al tipo di spiritualità indicato negli "Esercizi spirituali" di Sant'Ignazio di Loyola. Ed è proprio grazie alle meditazioni sviluppate sulle pagine del santo spagnolo che Madre Teresa matura il sentimento di voler «aiutare tutti gli uomini». Gonxha è attirata dunque irresistibilmente dalle missioni. La Superiora la manda quindi in India, a Darjeeling, città situata ai piedi dell'Himalaia, dove, il 24 maggio 1929, ha inizio il suo noviziato. Dato che l'insegnamento è la vocazione principale delle Suore di Loreto, lei stessa intraprende questa attività, in particolare seguendo le bambine povere del posto. Parallelamente porta avanti i suoi studi personali per poter ottenere il diploma di professoressa. Il 25 maggio 1931, pronuncia i voti religiosi e assume da quel momento il nome di Suor Teresa, in onore di Santa Teresa di Lisieux. Per terminare gli studi, viene mandata, nel 1935, presso l'Istituto di Calcutta, capitale sovrappopolata ed insalubre del Bengala. Ivi, essa si trova confrontata di colpo con la realtà della miseria più nera, ad un livello tale che la lascia sconvolta. Di fatto tutta una popolazione nasce, vive e muore sui marciapiedi; il loro tetto, se va bene, è costituito dal sedile di una panchina, dall'angolo di un portone, da un carretto abbandonato. Altri invece hanno solo alcuni giornali o cartoni... La media dei bambini muore appena nata, i loro cadaveri gettati in una pattumiera o in un canale di scolo. Madre Teresa rimane inorridita quando scopre che ogni mattina, i resti di quelle creature vengono raccolte insieme con i mucchi di spazzatura. Stando alle cronache, il 10 settembre 1946, mentre sta pregando, Suor Teresa percepisce distintamente un invito di Dio a lasciare il convento di Loreto per consacrarsi al servizio dei poveri, a condividere le loro sofferenze vivendo in mezzo a loro. Si confida con la Superiora, che la fa aspettare, per mettere alla prova la sua ubbidienza. In capo ad un anno, la Santa Sede la autorizza a vivere fuori della clausura. Il 16 agosto 1947, a trentasette anni, Suor Teresa indossa per la prima volta un "sari" (veste tradizionale delle donne indiane) bianco di un cotonato grezzo, ornato con un bordino azzurro, i colori della Vergine Maria. Sulla spalla, un piccolo crocifisso nero. Quando va e viene, porta con sé una valigetta contenente le sue cose personali indispensabili, ma non denaro. Madre Teresa non ha mai chiesto denaro né ne ha mai avuto. Eppure le sue opere e fondazioni hanno richiesto spese notevolissime! Lei attribuiva questo "miracolo" all'opera della Provvidenza. A decorrere dal 1949, sempre più numerose sono le giovani che vanno a condividere la vita di Madre Teresa. Quest'ultima, però, le mette a lungo alla prova, prima di riceverle. Nell'autunno del 1950, Papa Pio XII autorizza ufficialmente la nuova istituzione, denominata "Congregazione delle Missionarie della Carità".
Durante l'inverno del 1952, un giorno in cui va cercando poveri, trova una donna che agonizza per la strada, troppo debole per lottare contro i topi che le rodono le dita dei piedi. La porta all'ospedale più vicino, dove, dopo molte difficoltà, la moribonda viene accettata. A Suor Teresa viene allora l'idea di chiedere all'amministrazione comunale l'attribuzione di un locale per accogliervi gli agonizzanti abbandonati. Una casa che serviva un tempo da asilo ai pellegrini del tempio indù di "Kalì la nera", ed ora utilizzata da vagabondi e trafficanti di ogni sorta, è messa a sua disposizione. Suor Teresa la accetta. Molti anni più tardi, dirà, a proposito delle migliaia di moribondi che sono passati da quella Casa: "Muoiono tanto mirabilmente con Dio! Non abbiamo incontrato, finora, nessuno che rifiutasse di chiedere "perdono a Dio", che rifiutasse di dire: "Dio mio, ti amo". Due anni dopo, Madre Teresa crea il "Centro di speranza e di vita" per accogliervi i bambini abbandonati. In realtà, quelli che vengono portati lì, avvolti in stracci o addirittura in pezzi di carta, non hanno che poca speranza di vivere. Ricevono allora semplicemente il battesimo per poter essere accolti, secondo la dottrina cattolica, fra le anime del Paradiso. Molti di quelli che riescono a riaversi, saranno adottati da famiglie di tutti i paesi. "Un bambino abbandonato che avevamo raccolto, fu affidato ad una famiglia molto ricca - racconta Madre Teresa - una famiglia dell'alta società, che voleva adottare un ragazzino. Qualche mese dopo, sento dire che quel bambino è stato molto malato e che rimarrà paralizzato. Vado a trovare la famiglia e propongo: "Ridatemi il bambino: lo sostituirò con un altro in buona salute. ? Preferirei che mi ammazzassero, piuttosto che esser separato da questo bambino!" risponde il padre guardandomi, con il volto tutto triste". Madre Teresa nota: "Quel che manca di più ai poveri, è il fatto di sentirsi utili, di sentirsi amati. È l'esser messi da parte che impone loro la povertà, che li ferisce. Per tutte le specie di malattie, vi sono medicine, cure, ma quando si è indesiderabili, se non vi sono mani pietose e cuori amorosi, allora non c'è speranza di vera guarigione". Madre Teresa è animata, in tutte le sue azioni, dall'amore di Cristo, dalla volontà di «fare qualcosa di bello per Dio», al servizio della Chiesa. "Essere cattolica ha per me un'importanza totale, assoluta, dice. Siamo a completa disposizione della Chiesa. Professiamo un grande amore, profondo e personale, per il Santo Padre... Dobbiamo attestare la verità del Vangelo, proclamando la parola di Dio senza timore, apertamente, chiaramente, secondo quanto insegna la Chiesa". "Il lavoro che realizziamo è, per noi, soltanto un mezzo per concretizzare il nostro amore di Cristo... Siamo dedite al servizio dei più poveri dei poveri, vale a dire di Cristo, di cui i poveri sono l'immagine dolorosa... Gesù nell'eucaristia e Gesù nei poveri, sotto le specie del pane e sotto le specie del povero, ecco quel che fa di noi delle Contemplative nel cuore del mondo". Nel corso degli anni 60, l'opera di Madre Teresa si estende a quasi tutte le diocesi dell'India. Nel 1965, delle Religiose se ne vanno nel Venezuela. Nel marzo del 1968, Paolo VI chiede a Madre Teresa di aprire una casa a Roma. Dopo aver visitato i sobborghi della città ed aver constatato che la miseria materiale e morale esiste anche nei paesi "sviluppati", essa accetta. Nello stesso tempo, le Suore operano nel Bangladesh, paese devastato da un'orribile guerra civile. Numerose donne sono state stuprate da soldati: si consiglia a quelle che sono incinte, di abortire. Madre Teresa dichiara allora al governo che lei e le sue Suore adotteranno i bambini, ma che non bisogna, a nessun costo, "che a quelle donne, che avevano soltanto subito la violenza, si facesse poi commettere una trasgressione che sarebbe rimasta impressa in esse per tutta la vita". Madre Teresa ha infatti sempre lottato con una grande energia contro qualsiasi forma di aborto. Negli anni 80, l'Ordine fonda, in media, quindici nuove case all'anno. A partire dal 1986, si insedia nei paesi comunisti, fino allora vietati ai missionari: l'Etiopia, lo Yemen Meridionale, l'URSS, l'Albania, la Cina. Nel marzo del 1967, l'opera di Madre Teresa si è arricchita di un ramo maschile: la "Congregazione dei Frati Missionari". E, nel 1969, è nata la Fraternità dei collaboratori laici delle Missionarie della Carità. Chiestole da più parti di dove le venisse la sua straordinaria forza morale, Madre Teresa ha spiegato: "Il mio segreto è infinitamente semplice. Prego. Attraverso la preghiera, divento una cosa sola nell'amore con Cristo. PregarLo, è amarLo". Inoltre, Madre Tersa ha anche spiegato come l'amore sia indissolubilmente unito alla gioia: "La gioia è preghiera, perché loda Dio: l'uomo è creato per lodare. La gioia è la speranza di una felicità eterna. La gioia è una rete d'amore per catturare le anime. La vera santità consiste nel fare la volontà di Dio con il sorriso". Tante volte Madre Teresa, rispondendo a giovani che manifestavano il desiderio di andarla ad aiutare in India, ha risposto di rimanere nel loro paese, per esercitarvi la carità nei riguardi dei "poveri" del loro ambiente abituale. Ecco alcuni suoi suggerimenti: "In Francia, come a New York e dovunque, quanti esseri hanno fame di esser amati: è una povertà terribile, questa, senza paragone con la povertà degli Africani e degli Indiani... Non è tanto quanto si dà, ma è l'amore che mettiamo nel dare che conta... Pregate perché ciò cominci nella vostra propria famiglia. I bambini non hanno spesso nessuno che li accolga, quando tornano da scuola. Quando si ritrovano con i genitori, è per sedersi davanti alla televisione, e non scambiano parola. È una povertà molto profonda... Dovete lavorare per guadagnare la vita della vostra famiglia, ma abbiate anche il coraggio di dividere con qualcuno che non ha ? forse semplicemente un sorriso, un bicchier d'acqua -, di proporgli di sedersi per parlare qualche istante; scrivete magari soltanto una lettera ad un malato degente in ospedale...". Dopo varie degenze in ospedale, Madre Teresa si è spenta a Calcutta, il 5 settembre 1997, suscitando commozione in tutto il mondo. Il 20 dicembre 2002 papa Giovanni Paolo II ha firmato un decreto che riconosce le virtù eroiche della "Santa dei Poveri", iniziando di fatto il processo di beatificazione più rapido nella storia delle "cause" dei santi. Nella settimana che celebrava i suoni 25 anni di pontificato, il 19 ottobre 2003, papa Giovanni Paolo II ha presieduto la beatificazione di madre Teresa davanti a un'emozionata folla di trecentomila fedeli.




Gino Strada
Luigi Strada detto Gino (Sesto San Giovanni, 21 aprile 1948) è un chirurgo italiano, fondatore, assieme alla moglie Teresa Sarti, dell'ONG italiana Emergency. Laureatosi in medicina all'Università Statale di Milano nel 1978 e successivamente specializzatosi in chirurgia d’urgenza, durante gli anni della contestazione è uno degli attivisti del Movimento Studentesco, anche come responsabile nel gruppo di servizio d'ordine della facoltà di Medicina.
Viene assunto dal nosocomio di Rho e fa pratica nel campo del trapianto di cuore fino al 1988, quando si indirizza verso la chirurgia traumatologica e la cura delle vittime di guerra. Nel periodo 1989-1994 lavora con il Comitato Internazionale della Croce Rossa in varie zone di conflitto: Pakistan, Etiopia, Perù, Afghanistan, Somalia e Bosnia-Erzegovina. Questa esperienza sul campo motiva Strada ed un gruppo di colleghi a fondare Emergency, un'associazione umanitaria internazionale per la riabilitazione delle vittime della guerra e delle mine antiuomo che, dalla sua fondazione nel 1994 alla fine del 2008, ha assistito quasi 3,2 milioni di pazienti. Nel 2001 è vincitore del premio Colombe d'Oro per la Pace, premio assegnato annualmente dall'Archivio disarmo ad una personalità distintasi in campo internazionale. Dal 2002 è cittadino onorario della città di Empoli (FI), dal 2003 anche della città di Montebelluna (TV) e nel marzo 2006 è stato insignito della cittadinanza onoraria della città di Bisignano. Durante l'elezione del Presidente della Repubblica del 2006 è stato votato nei primi tre scrutini.
Nel marzo 2007, durante il sequestro in Afghanistan del giornalista de La Repubblica, Daniele Mastrogiacomo, ha assunto una posizione di rilievo nelle trattative per la sua liberazione.
Il 1º settembre 2009 muore la moglie Teresa Sarti, cofondatrice e presidente di Emergency; le succede nel ruolo di presidente la figlia Cecilia Strada. In Italia, Gino Strada ha assunto negli anni posizioni critiche nei confronti dei governi guidati da Massimo D'Alema, Romano Prodi e Silvio Berlusconi, per le loro scelte a sostegno della guerra, per la partecipazione dell'Italia a diversi conflitti recenti, per l'aumento continuo delle spese militari da questi sostenute, per le politiche sull'immigrazione e i respingimenti. La maggior parte delle critiche sono relative alla partecipazione dell'Italia all'intervento NATO in Afghanistan - noto anche come Operazione Enduring Freedom - valutate da Gino Strada e dalla sua organizzazione che ivi opera come una barbarie commessa contro la popolazione afghana, in aperta violazione della Costituzione della Repubblica Italiana. Dall'altra parte, alcuni considerano la posizione di Gino Strada come un mero esempio di pacifismo radicale, «moralista» e utopico.
E' autori di tre libri sulla esperienza di guerra: Pappagalli verdi: cronache di un chirurgo di guerra; Buskashì. Viaggio dentro la guerra; con Howard Zinn, Just war






Don Aniello Manganiello
Il sacerdote, da anni in prima linea contro il crimine organizzato, ‘trasferito’ a Roma nonostante le proteste. Centinaia di persone alla sua ultima messa. L’ultima funzione religiosa tenuta da don Aniello Manganiello ha visto la presenza di almeno mille fedeli per nulla contenti del suo allontanamento dal capoluogo campano. Il prete anticamorra va via suo malgrado e dopo sedici anni di duro contrasto alla camorra, che è arrivata a minacciarlo di morte. Da questa settimana il religioso vivrà a Roma dove è stato trasferito per ricoprire l’incarico di vicario parrocchiale nella chiesa di San Giuseppe, al quartiere Trionfale. L’Opera don Guanella ha deciso di spostare don Manganiello per motivi di “avvicendamento”, ma contro questa scelta si erano espressi nei mesi scorsi non solo i suoi parrocchiani, ma anche personaggi pubblici di tutti gli schieramenti politici. Ieri almeno un migliaio di cittadini hanno riempito la chiesa di Santa Maria della Provvidenza al Rione don Guanella sia per la funzione delle 10 dedicata ai bimbi, sia per quella delle riservata al resto della comunità. Molti piangevano e lo stesso sacerdote si è commosso. In una lettera aperta, distribuita ai parrocchiani e letta durante l’omelia, don  Manganiello ha voluto lasciare quasi un testamento spirituale ed ha lanciato l’ultimo duro j’accuse nei confronti delle istituzioni e della Chiesa, che lo avrebbero spesso lasciato solo nelle sue battaglie. La lettura del documento è stata più volte interrotta dagli applausi e dalle grida di chi lo implorava di non lasciare Napoli. Ha detto il prete: “Una grande commozione che stempera la mia sofferenza. Mi sento violentato psicologicamente per un trasferimento che mi impedisce di proseguire un percorso. Come ho già detto obbedisco con la ragione, ma non con il cuore”. Durante l’omelia don Aniello ha esortato la Chiesa ad essere più severa nei confronti della criminalità con prese di posizione più dure: “Specie nell’amministrazione dei sacramenti – ha detto – c’è una certa superficialità. I sacramenti non si buttano via. Gesù disse di non dare perle ai porci”. Quindi il sacerdote contro la camorra ha ricordato la figura del martire della dittatura cilena, il vescovo Oscar Romero: “Anch’io come lui sono stato minacciato ed emarginato per essermi schierato dalla parte dei più poveri”. Tra i parrocchiani qualcuno ha esposto dei cartelloni critici nei confronti della Chiesa partenopea. ‘Signore perdona la Chiesa per quello che ha fatto’, c’era scritto su uno di questi. Su di un cartellone preparato dai bimbi dell’Opera Don Guanella si leggeva: “Don Aniello santo subito”. Alla fine dell’ultima messa a Napoli i fedeli hanno applaudito per molti minuti e la maggior parte di loto ha fatto molta fatica nell’abbandonare la chiesa. Qualcuno ha fatto esplodere dei fuochi d’artificio. “Sono stati i miei bambini – ha spiegato don Aniello – mi hanno voluto festeggiare così”.





Aung San Suu Kyi
(Rangoon, 19 giugno 1945) è una politica birmana, attiva da molti anni nella difesa dei diritti umani sulla scena nazionale del suo Paese, devastato da una pesante dittatura militare, imponendosi come leader del movimento non-violento, tanto da meritare i premi Rafto e Sakharov, prima di essere insignita del premio Nobel per la pace nel 1991. Nel 2007 l'ex Premier inglese Gordon Brown ne ha tratteggiato il ritratto nel suo volume Eight Portraits come modello di coraggio civico per la libertà. Figlia del generale Aung San (capo della fazione nazionalista del Partito Comunista della Birmania, di cui fu segretario dal '39 al '41) e di Khin Kyi, la vita di Aung San Suu Kyi è stata travagliata fino dai primi anni. Suo padre[3], uno dei principali esponenti politici birmani, dopo aver negoziato l'indipendenza della nazione dal Regno Unito nel 1947, fu infatti ucciso da alcuni avversari politici nello stesso anno, lasciando la bambina di appena due anni, oltre che la moglie, Khin Kyi, e altri due figli, uno dei quali sarebbe morto in un incidente. Dopo la morte del marito, Khin Kyi, la madre di Aung San Suu Kyi divenne una delle figure politiche di maggior rilievo in Birmania, tanto da diventare ambasciatrice in India nel 1960. Aung San Suu Kyi fu sempre presente al fianco della madre, la seguì ovunque, ed ebbe la possibilità di frequentare le migliori scuole indiane e successivamente inglesi, tanto che nel 1967, ad Oxford, conseguì la prestigiosa laurea in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia. Continuò poi i suoi studi a New York e nel 1972 cominciò a lavorare per le Nazioni Unite, e in quel periodo conobbe anche uno studioso di cultura tibetana, Micheal Aris, che l'anno successivo sarebbe diventato suo marito, e padre dei suoi due figli, Alexander e Kim. Ritornò in Birmania nel 1988, per accudire la madre gravemente malata, e proprio in quegli anni il generale Saw Maung prese il potere e instaurò il regime militare che tuttora comanda in Myanmar. Fortemente influenzata dagli insegnamenti del Mahatma Gandhi, Aung San Suu Kyi sposò la causa del suo paese in maniera non-violenta e fondò la Lega Nazionale per la Democrazia, il 27 settembre 1988. Neanche un anno dopo le furono comminati gli arresti domiciliari, con la concessione che se avesse voluto abbandonare il paese, lo avrebbe potuto fare; Aung San Suu Kyi rifiutò la proposta del regime. Nel 1990 il regime militare decise di chiamare il popolo alle elezioni, e il risultato fu una schiacciante vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi, che sarebbe quindi diventata Primo Ministro, tuttavia i militari rigettarono il voto, e presero il potere con la forza, annullando il voto popolare. L'anno successivo Aung San Suu Kyi vinse il premio Nobel per la Pace, ed usò i soldi del premio per costituire un sistema sanitario e di istruzione, a favore del popolo birmano. Gli arresti domiciliari le furono revocati nel 1995, ma rimaneva comunque in uno stato di semi libertà, non poté mai lasciare il paese, perché in tal caso le sarebbe stato negato il ritorno in Myanmar, e anche ai suoi familiari non fu mai permesso di visitarla, neanche quando al marito Michael fu diagnosticato un tumore, che di lì a due anni, nel 1999, lo avrebbe ucciso, lasciandola vedova. Nel 2002, a seguito di forti pressioni delle Nazioni Unite, ad Aung San Suu Kyi fu riconosciuta un maggiore libertà d'azione in Myanmar, ma il 30 maggio 2003, il dramma: mentre era a bordo di un convoglio con numerosi supporters, un gruppo di militari aprì il fuoco e massacrò molte persone, e solo grazie alla prontezza di riflessi del suo autista, Ko Kyaw Soe Lin, riuscì a salvarsi, ma fu di nuovo messa agli arresti domiciliari. Da quel momento, la salute di Aung San Suu Kyi è andata progressivamente peggiorando, tanto da richiedere un intervento e vari ricoveri. Il "caso" Aung San Suu Kyi ha incominciato ad essere un argomento internazionale, tanto che gli Stati Uniti d'America e l'Unione Europea hanno fatto grosse pressioni sul governo del Myanmar per la sua liberazione, ma gli arresti domiciliari furono rinnovati per un anno nel 2005 e ulteriormente rinnovati nel 2006 e nel 2007. Per quanto sta facendo per la causa del popolo birmano, alcune prestigiose Università in Europa e in America vogliono assegnarle delle lauree Honoris Causa, per il suo grande impegno civile, e per la difesa dei diritti umani e della pace. Il 9 novembre 2007, Aung San Suu Kyi ha lasciato la sua abitazione dove era confinata agli arresti domiciliari e ha incontrato il ministro nominato ad hoc dalla giunta militare al potere per il dialogo con l'opposizione, il ministro dei trasporti Aung Kyi. Un dirigente della Lega nazionale per la democrazia ha detto che Suu Kyi ha anche incontrato tre esponenti del suo partito, che non incontrava da tre anni. Per il suo impegno a favore dei diritti umani il 6 maggio 2008 il Congresso degli Stati Uniti le ha conferito la sua massima onorificenza: la Medaglia d'Onore. Il 3 maggio 2009 un mormone statunitense, John William Yethaw, ha raggiunto a nuoto la casa in cui è costretta agli arresti domiciliari attraversando il lago Inya. Il 14 maggio la giunta militare ha arrestato, e il 1821 maggio. Secondo buona parte della stampa internazionale e la stessa Lega nazionale per la democrazia, l'impresa di Yethaw è stato il pretesto fornito alla giunta militare per mettere fuori gioco Aung San Suu Kyi prima di sottoporre il popolo birmano alla votazione di un referendum per l'approvazione di un testo costituzionale che, di fatto, sancisce la continuazione del potere dei militari sotto forme civili, escludendo del tutto la Lega nazionale per la democrazia. L'11 giugno Aung San Suu Kyi è stata nuovamente condannata, questa volta a tre anni di lavori forzati per violazione della normativa della sicurezza che sono stati commutati poi, dalla Giunta militare, in 18 mesi di arresti domiciliari. Il 13 novembre 2010 Aung San Suu Kyi è stata liberata. successivo ha processato, Aung San Suu Kyi per violazione degli arresti domiciliari. Il termine dei domiciliari e la liberazione dell'attivista birmana dall'ultimo arresto sarebbero scaduti il









Temple Grandin
(Boston, 29 agosto 1947) è una professoressa associata dell’Università Statale del Colorado ed una delle personalità più famose nel mondo affette da autismo. La Grandin è molto nota anche per la sua attività di progettista di attrezzature per il bestiame.
Grandin nasce in un periodo in cui la sindrome autistica era relativamente poco conosciuta. Essendole stato diagnosticato un danno cerebrale all’età di due anni, fu ospitata in una scuola materna strutturata dove a suo modo di dire è stata seguita da buoni insegnanti. Parecchi anni più tardi le è stata accertata come autistica (formalmente la diagnosi fu di Sindrome di Asperger ovvero la versione meno severa dello spettro autistico). Lei considera se stessa fortunata nell’aver goduto di un buon supporto sia al tempo in cui frequentava la scuola primaria che successivamente.
Grandin negli anni a seguire ottenne una laurea di primo livello in psicologia al Franklin Pierce College (1970), successivamente si laureò in zoologia all’Università Statale dell’Arizona nel 1975, e conseguì il dottorato in ricerca sempre in zoologia presso l’Università dell’Illinois nel 1989.
Grandin inizia ad essere conosciuta dopo che Oliver Sacks la descrive in un suo racconto Un antropologo su Marte, il cui titolo è stato preso dalla definizione della stessa Grandin circa il suo modo di sentire le persone normodotate. Grandin è stata ospite dei più importanti programmi televisivi nazionali e scritto articoli per riviste come Time, People, e Forbes, e su quotidiani come il New York Times.
È stata il soggetto di documentario della Horizion (BBC) e di un film della HBO (2010) diretto da Mick Jackson ed interpretato da Claire Danes.
Sulla base della sua personale esperienza ha invocato l’intervento ed il supporto di insegnamenti che possano risolvere le problematiche dei bambini autistici, trasformando comportamenti inadatti in altri più adeguati. Ha raccontato il suo essere ipersensibile ai rumori ed ad altri stimoli sensoriali e del suo bisogno di trasformare ogni cosa in immagini visive. Secondo Temple il suo successo nel lavoro di progettista dipende proprio dal suo essere autistica. È infatti in grado di soffermarsi su dettagli minutissimi ed è in grado di utilizzare la memoria visuale come fosse un supporto audiovisivo, sperimentando mentalmente le diverse soluzioni da adottare. In tal modo riesce a prevedere anche le sensazione che proveranno gli animali sui quali verrà utilizzata l’attrezzatura.
Grandin è considerata un'importante attivista sia del movimento in tutela dei diritti degli animali che del movimento dei diritti delle persone autistiche e dai quali a loro volta è frequentemente citata.
Il suo merito principale è stato quello di presentare il punto di vista delle autistiche, contribuendo in tal modo all’affinamento di metodologie di intervento più adatte a supportare le persone colpite da questa sindrome.
Tuttora la Grandin assume antidepressivi e utilizza una speciale macchina (hug machine) da lei inventata all’età di 18 anni.



Liu Xiaobo
(刘晓波in cinese; Changchun, 28 dicembre 1955) è uno scrittore cinese, attivo da molti anni nella difesa dei diritti umani sulla scena nazionale del suo Paese.

L'8 dicembre 2008 Liu Xiao Bo è stato privato della libertà a causa della sua adesione al movimento «Charta 08». Detenuto in un luogo sconosciuto, è stato formalmente arrestato solo il 23 giugno 2009 sulla base dell'accusa di “incitamento alla sovversione del potere dello stato”. Dopo un anno di detenzione, il 23 dicembre 2009 si è svolto il processo; il 25 è stato condannato a 11 anni di prigione e a due anni di interdizione dai pubblici uffici. La sentenza è stata confermata in appello l'11 febbraio 2010. Articolo
L'8 ottobre 2010 è stato insignito del Premio Nobel per la pace «per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina». È il primo cinese a ricevere il riconoscimento per la pace.
Liu è nato a Changchun, nella provincia di Jilin, nel 1955. È stato educato alla religione cristiana. Ha conseguito la laurea di primo livello in letteratura all'Università dello Jilin nel 1982 e la laurea magistrale all'Università di Pechino nel 1984. Dopo la laurea, ha ottenuto il dottorato all'Università Normale di Pechino nel 1988. Successivamente ha lavorato in diverse università all'estero, come la Columbia University (USA), l'Università di Oslo (Norvegia) e l'Università delle Hawaii.
Come attivista per i diritti umani, Liu Xiaobo ha chiesto più volte al governo cinese di dare conto delle proprie azioni di repressione. In forza di ciò, è stato più volte arrestato e condannato nonostante le sue azioni siano sempre state pacifiche, inclusa la partecipazione alla Protesta di piazza Tiananmen nel 1989. [4].

Nel gennaio 1991, Liu Xiaobo fu condannato per “propaganda ed istigazione controrivoluzionarie”, senza però essere messo in carcere. Nell'ottobre 1996, fu obbligato a trascorrere tre anni in un “campo di rieducazione” (laogai) per “disturbi alla quiete pubblica” a causa delle sue critiche al partito comunista cinese. Nel 2007, Liu fu portato in un carcere dove fu interrogato su alcuni suoi articoli, apparsi su siti web stranieri. Dal 2003 fino alla condanna al carcere è stato presidente della sezione cinese del PEN Club Internazionale.
L'attività umanitaria di Liu ha ricevuto approvazione e considerazione all'estero. Nel 2004 Reporter Senza Frontiere lo ha insignito del premio «Fondation de France», per la sua opera di strenuo difensore della libertà di stampa.
Liu Xiaobo è stato il promotore di «Charta 08», manifesto pubblico ispirato alla famosa Charta 77 redatta negli anni Settanta dai dissidenti cecoslovacchi. Redatto in occasione del 60º anniversario della proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (10 dicembre 1948 - 10 dicembre 2008), Charta 08 è un grande appello alla libertà di espressione, al rispetto dei diritti umani e alle elezioni libere [5]. Xiaobo sostiene la necessità di introdurre riforme democratiche nel sistema politico e il rispetto dei diritti umani, segnatamente della libertà di pensiero, nel proprio Paese. Sottoscritto originariamente da circa 300 personalità, Charta 08 ha raccolto quasi 10.000 adesioni, da parte di cittadini di varia estrazione sociale ed origine etnica.
Il 18 gennaio 2010, Liu è stato candidato al Premio Nobel per la pace da Václav Havel (uno dei promotori di Charta 77), il Dalai Lama, André Glucksmann, Vartan Gregorian, Michael Moore, Karel Schwarzenberg, Desmond Tutu e Gregory Javlinsky. Nei mesi precedenti l'annuncio del vincitore, il governo cinese è intervenuto duramente diffidando i giurati norvegesi dall'attribuire il prestigioso premio a Liu Xiaobo o ad altri dissidenti cinesi.
Dopo aver appreso dell'attribuzione del premio le reazioni cinesi sono state scomposte e molto dure. Il governo cinese ha di fatto interrotto la diretta televisiva con il comitato del Nobel, ha censurato tutti i commenti dei leader occidentali e ha richiamato l'ambasciatore norvegese per avere spiegazioni, definendo il premio a Xiaobo una «oscenità» Articolo. In realtà l'attribuzione del premio Nobel non è di matrice governativa ma completamente indipendente. Appena saputo del premio, le autorità cinesi hanno messo agli arresti domiciliari la moglie di Liu, nel tentativo di non permetterle contatti con i giornalisti stranieri Vedi articolo 1, Articolo 2.

«Durante gli ultimi decenni - si legge nelle motivazioni del Comitato per il Nobel - la Cina ha fatto enormi progressi economici, forse unici al mondo, e molte persone sono state sollevate dalla povertà. Il Paese ha raggiunto un nuovo status che implica maggiore responsabilità nella scena internazionale, che riguarda anche i diritti politici. L’articolo 35 della Costituzione cinese stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso, ma queste libertà in realtà non vengono messe in pratica». «Per oltre due decenni, - continua il Comitato del Nobel - Liu è stato un grande difensore dell’applicazione di questi diritti, ha preso parte alla protesta di Tienanmen nell’89, è stato tra i firmatari e i creatori di Charta 08, manifesto per la democrazia in Cina. Liu ha costantemente sottolineato questi diritti violati dalla Cina. La campagna per il rispetto e l’applicazione dei diritti umani fondamentali è stata portata avanti da tanti cinesi e Liu è diventato il simbolo principale di questa lotta».





INUGURIAMO LA PAGINA "STORIE DI PACE" CON UN UOMO CHE ATTRAVERSO LA NON VIOLENZA E IL DIALOGO HA LOTTATO PER ANNI CONTRO LA MAFIA. STIAMO PARLANDO DI

GIUSEPPE (PEPPINO) IMPASTATO

Giuseppe Impastato, meglio noto come Peppino (Cinisi, 5 gennaio 1948Cinisi, 9 maggio 1978), è stato un politico, attivista e conduttore radiofonico italiano, famoso per le denunce delle attività della mafia in Sicilia, che gli costarono la vita. Peppino Impastato nacque a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa (il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso nel 1963 in un agguato nella sua Giulietta imbottita di tritolo).           Ancora ragazzo rompe con il padre, che lo caccia di casa, ed avvia un'attività politico-culturale antimafiosa. Nel 1965 fonda il giornalino L'idea socialista e aderisce al PSIUP. Dal 1968 in poi, partecipa, con ruolo dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell'aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati.
Nel 1976 costituisce il gruppo Musica e cultura, che svolge attività culturali (cineforum, musica, teatro, dibattiti, ecc.); nel 1977 fonda Radio Aut, radio libera autofinanziata, con cui denuncia i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell'aeroporto. Il programma più seguito era Onda pazza, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici.
Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra l'8 e il 9 maggio del 1978, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi votano il suo nome, riuscendo ad eleggerlo, simbolicamente, al Consiglio comunale.[1]
Stampa, forze dell'ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l'attentatore sarebbe rimasto vittima e di suicidio dopo la scoperta di una lettera scritta in realtà molti mesi prima. L'uccisione, avvenuta in piena notte, riuscì a passare la mattina seguente quasi inosservata poiché proprio in quelle ore veniva "restituito" il corpo senza vita del presidente della DC Aldo Moro in via Caetani a Roma.
Grazie all'attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato (1916 - 2004), che rompono pubblicamente con la parentela mafiosa, dei compagni di militanza e del Centro siciliano di documentazione[2] di Palermo, nato nel 1977 e che nel 1980 si sarebbe intitolato proprio a Giuseppe Impastato, viene individuata la matrice mafiosa del delitto e sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l'inchiesta giudiziaria.
Il 9 maggio del 1979, il Centro siciliano di documentazione organizza, con Democrazia Proletaria, la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d'Italia, a cui parteciparono 2000 persone provenienti da tutto il paese.
Nel maggio del 1984 l'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni del Consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti.
Il Centro Impastato pubblica nel 1986 la storia di vita della madre di Giuseppe Impastato, nel volume La mafia in casa mia, e il dossier Notissimi ignoti, indicando come mandante del delitto il boss Gaetano Badalamenti, nel frattempo condannato a 45 anni di reclusione per traffico di droga dalla Corte di New York, nel processo alla Pizza connection.
Nel gennaio 1988, il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 lo stesso tribunale decide l'archiviazione del caso Impastato, ribadendo la matrice mafiosa del delitto, ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei corleonesi.
Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un'istanza per la riapertura dell'inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo che venga interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore della giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto.
Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell'omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l'inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l'udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata.
I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l'Ordine dei giornalisti chiedono di costituirsi parte civile e la loro richiesta viene accolta. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia all'udienza preliminare e chiede il giudizio immediato.
Nell'udienza del 26 gennaio 2000 la difesa di Vito Palazzolo chiede che si proceda con il rito abbreviato, mentre il processo contro Gaetano Badalamenti si svolgerà con il rito normale e in video-conferenza. Il 4 maggio, nel procedimento contro Palazzolo, e il 21 settembre, nel processo contro Badalamenti, vengono respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell'Ordine dei giornalisti.
Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini. Nella commissione si rendono note le posizioni favorevoli all'ipotesi dell'attentato terroristico poste in essere dai seguenti militari dell'arma: il Maggiore Tito Baldo Honorati; il maggiore Antonio Subranni; il maresciallo Alfonso Travali.[3]
Il 5 marzo 2001 la Corte d'assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a trent'anni di reclusione. L'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all'ergastolo.