Post di Pace...

venerdì 26 ottobre 2012

Ciao fratello...caro il prezzo che ci toccherà pagare...

Nella giornata di ieri, è morto ancora una volta un militare italiano, in un attentanto avvenuto in Afghanistan. Il ragazzo di 24 anni, di cui non vi diremo il nome per il rispetto della privacy e della dignità, è morto in Afghanistan, dopo le gravi ferite riportate in uno scontro a fuoco avvenuto contro un blindato dell'esercito italiano impegnato nella guerra afghana da ormai 11 anni. 
Il nostro fratello alpino, oggi voglio chiamarlo così fratello, perchè anche se ho sempre detto che i militari non vanno in missione di Pace, ma in guerra, oggi di fronte al silenzio e al cordoglio per la sua morte lo considero un fratello che si è sacrificato ingiustamente, soggiogato dalle inconcepibili dinamiche di guerra che il nostro Paese, con i suoi politici di destra o sinistra che siano, stanno portando avanti senza tregua, da quel terribile 11 settembre che costò il crollo delle Terri Gemelle a New York e la morte di migliaia di persone, che comportò il conseguente armamento per avviare una guerra senza motivi che tra civili e militari impegnati, perdono a migliaia la vita. Il numero dei morti è imprecisato e nemmeno gli esperti conoscono a fondo i numeri, ma quello che sappiamo con certezza è che oggi abbiamo perso un fratello, l'ennisimo in una guerra senza fine.
Allora noi ci chiediamo, sempre più con insistenza e senza criticare nessuno, ma esponendo un libero pensiero democratico, quanti altri fratelli dovranno essere sacrificati? Qual'è il prezzo che dobbiamo pagare? Quando finirà tutto questo squallore?
A queste domande, forse, ora non c'è risposta, ma vorremmo che almeno i politici italiani, dopo la morte di un nostro fratello, possano riflettere una volta per tutte, proprio ora che si avvicina il 4 novembre, giornata delle forze armate. Vogliamo che i nostri politici dicessero basta a questa assurda guerra e a tutte le guerre in cui nostri fratelli sono impegnati mediante fittizie missioni di pace. Vogliamo che non vengano più sacrificati fratelli per una guerra ingiusta, che noi non vogliamo e che non vogliamo sia fatta nel nostro nome. Mai più guerre e sacrifici ingiusti.

giovedì 25 ottobre 2012

Nobel per la Pace all'Unione Europea

Quest'anno il Nobel per la pace è stato assegnato all'Unione Europea, elogiandone l'impegno per essere stata in grado di garantire 60 anni di Pace nei valori e nei rapporti costituiti tra i suoi stati membri. Ora per quanto apprezziamo che il Premio Nobel per la Pace ha un suon valore, vogliamo interrogarci sul fatto che forse debba tener conto di tutti quei valori che ne determinano il loro consegiumento, ci si chiede perchè attribuire il Nobel all'Unione Europea. Va bene, che è riuscita a mantenere la Pace nei suoi confini, ma forse non si sono resi conto che un istituzione debba garantire la Pace comunque sia se nei suoi confini interni e tra i suoi paesi membri, anche nei rapporti internazionli, cosa quest'ultima che non è stata fatta, in quanto sono state molte in queste ultimi anni le missini di guerra, e non di Pace come sostengono, cui hanno partecipato i Pesei UE.
Ma ora non vogliamo fare polemiche, perchè di fronte all'attribuzione di un Premio Nobel per la Pace, non possiamo fare altro che mostrare il nostro entusiasmo e il nostro compiacimento e ne siamo ben felici sempre, purchè la Pace non resti utopia, ma diventi concreta realtà da rispettare e consacrare come Valore di democrazia.

E' razzismo o c'è qualcosa altro dietro?

E' di domenica sera la notizia terribile che vede coinvolta una giovane ragazza Afro-Americana, vittima di atti vandalici e razzismo nei suoi confronti, mentre faceva jogging in un parco nella cittadina di Winnnsboro in Louisiana in cui vive. Dalle prime ricostruzioni sembre che un gruppo di uomini con i cappucci bianchi in testa, tipici del Ku Klux Klan, hanno aggredito la ragazza Afro-Americana e dopo averla cosparsa di liquido infiammante, le hanno dato fuoco e prima di scappare avrebbero lasciato le loro tracce sulla macchina della giovane, imbrattando con vernice rossa il loro simbolo KKK. La ragazza è stato soccorsa dalla polizia ed è stata ricoverata in condizioni gravissime in ospedale, ma nonostante tutto a chi l'ha soccorsa è riuscita a spiegare l'accaduto.
Il giorno successivo, dopo avere aperto le indagini, il capo della polizia di Winnsboro smentisce che tale atto possa essere stato compiuto dal Ku Klux Klan, e che dunque sia stata un folle gesto della ragazza stessa che ha compiuto tale gesto suicida per non ancora specificati motivi. La madre della giovane intervistata poche ore dopo, ha spiegato che Sharmeka è una ragazza tranquilla e che non ha mai avuto problemi o crisi depressive, come sostenuto dal commissario di polizia, dunque non si spiega perchè abbia compiuto questo folle gesto.
Si attendo sviluppi sulla vicenda, ma non sembra un gesto che possa fare a sola una ragazza, e poi sembra strano che questo atto sia stato compiuto a pochi giorni dalle Elezioni Presidenziali che avverranno il 4 novembre prossimo venturo. 
Cosa c'è dietro' Quale è il movente? Non siamo in grado di darvi una risposta perchè ancora non ci sono certezze sull'accaduto, ma vogliamo solo dirvi che per quanto sia possibile, noi chiediamo il rispetto della ragazza e che venga fatta luce su questa triste vicenda. Non siamo in grado di sapere se è vero ciò che è successo e se sia davvero coinvolto il Ku Klux Klan, ma vogliamo che sia fatta giustizia e che chiunque abbia compiuto questi gesto di razzismo, si possa dire basta una volta per tutte ad ogni forma di razzismo.

martedì 16 ottobre 2012

Riattivazione pagine

Buongiorno cari lettori, che ogni giorno seguite il blog PACE E NON VIOLENZA con grande entusiasmo, siamo lieti di annunciarvi che presto torneranno attive le nostre pagine con tante novità. Sicuramente tra queste quella più importante, ma non l'unica, sarà la pagina completamente dedicata a voi, dove vedrete pubblicati i vostri messaggi di PACE che inserirete sulle nostre pagine Facebook e Twitter. Dunque non esitate e continuate a seguirci, facciamo girare la PACE...

lunedì 8 ottobre 2012

Basta massacri in Siria...Stop the war...

Continuano senza tregua le rivolte in Siria contro il regime di Assad e allo stesso tempo continuano i massacri dell'esercito siriano per tentare di fermare le rivolte. E' intollerabile che ragazzi che protestano pacificamente da anni contro questo regime così duro ed ignorato dalla comunità internazionale che sostiene la Siria un paese democratico.
Sono ormai quasi due anni che i siriani, nel segno della Pace, si oppongono al regime di Assad e sono ormai quasi due anni che vengono massacrati ingiustamente, senza che nessuno intervenga. Ed è per questo che noi cerchiamo di suscitare l'attenzione della Comunità Internazionale e ancor più dell'Onu che dovrebbero intervenire a favore della popolazione siriana, continuamente lesa nei suoi diritti e nella sua dignità. 
Fino a ieri, fino a questa mattina, la città di Aleppo continua ad essere massacrata e distrutta da bombardamenti dell'esercito siriano, che debole nello spirito e nel cuore, si trova a dover sottostare ad ordini di un dittatore senza cuore, che non riuscendo a governare, sfrutta la sua debolezza per distruggere il suo popolo con l'unica orrenda arma che possiede, la guerra.
E allora noi vorremmo che al più presto intervenga qualcuno per garantire alla Siria la democrazia che merita, proteggendone i suoi diritti, la sua dignità e la sua forza, i suoi valori e i suoi principi, garantendo quella libertà che il popolo siriano merita, ma che ha perso da circa 5 anni, da quando Assad un dittattore, inizialmente accolto con entusiasmo sta distruggendo il suo popolo, senza un minimo di vergogna. 
Dunque, che l'Onu intervenga presto affinchè la difficile situazione siriana, venga risolta, affinchè non vengano screditati i valori sui quali l'onu fu fondata nel 1948.
Noi non ci stiamo, vogliamo la Pace in Siria, così come la Pace in tutti gli altri paesi, che vengono massacrati in guerra e non solo, insomma non vogliamo che la macchina distruttiva della guerra prenda il sopravvento, perchè la guerra non porta la democrazia, ne tantomeno i valori democratici. la Pace si porta con il dialogo e l'ascolto, con la libertà di pensiero, la libertà di parola e di espressione, con i valori democratici della cooperazione, della collaborazione e l'integrazione fra i popoli.

lunedì 1 ottobre 2012

Campagna Unicef "Vogliamo zero" per evitare la morte di 19000 bambini al giorno...

Ogni giorno muoiono 22.000 bambini per cause prevenibili. Vogliamo arrivare a zero.

Ogni giorno malattie come diarrea, polmonite, malnutrizione, morbillo, malaria, AIDS, causano la morte di migliaia di bambini. Bambini che vivono nelle zone più povere del mondo e restano indietro nella corsa per la vita.
L’UNICEF lavora per porre fine a queste morti, perché non c’è tragedia più grande della morte di un bambino.
Salvare le vite dei bambini è possibile, possiamo farlo con il tuo aiuto.



Basta un semplice gesto! Con un SMS al 45505 da cellulare TIM, Vodafone, WIND, 3, PosteMobile, CoopVoce, Tiscali e Nòverca o chiamata allo stesso numero da rete fissa da Telecom Italia, Infostrada, Fastweb, TeleTu e Tiscali è possibile donare 2 euro all’UNICEF e sostenere questa campagna. 

Con pochi euro si può fare la differenza nella vita di un bambino. Con 2 euro puoi vaccinare contro il morbillo 11 bambini. Con 2 euro puoi vaccinare contro la poliomielite 6 bambini” ha detto il Presidente Guerrera.

Modifiche di Pace

Eccoci di nuovo, presto torneremo, abbiamo avuto difficoltà nell'aggiornare il blog e non solo, c'è stata tanta amarezza per tutto quello che è successo in questi giorni e non abbiamo avuto il coraggio di raccontare. ma torneremo cari lettori, continuate a seguirci e darci il vostro sostegno di Pace.

La guerra infinita contro il terrorismo

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Dall’11 settembre al fallito attentato di Detroit, la storia in cinque atti di un conflitto sanguinoso. Che oggi ha nuovi scenari ma sempre le stesse vittime: le persone comuni.
Siamo ormai all’ottavo anno di un conflitto estenuante, più lungo della prima e della seconda guerra mondiale. Complesso, multidimensionale e polivalente come queste due guerre, è un conflitto a cui manca una narrazione. È caotico e difficile da definire. Ed è anche anonimo, cosa che non dovrebbe sorprenderci: poche guerre hanno avuto un nome mentre erano ancora in corso. Ma dopo l’ennesima settimana dominata dalle notizie di un nuovo allarme terrorismo – stavolta a causa di un giovane nigeriano, addestrato nello Yemen e legato ad Al-Qaeda, che ha cercato di far saltare in aria un aereo di linea statunitense – vale la pena di provare a fare un passo indietro per osservare lo svolgimento del conflitto nel suo complesso. Così potremmo provare a stabilire a che punto siamo e che cosa dobbiamo aspettarci dal futuro.
La guerra al terrorismo si può dividere in cinque atti. Il primo è cominciato con l’11 settembre 2001, subito seguito dalla guerra in Afghanistan. Il secondo è coinciso con il momento di calma relativa tra il 2002 e il 2003. In questo periodo ci sono stati degli attentati e i combattimenti in Afghanistan sono proseguiti, ma gli scenari apocalittici che molti avevano temuto non si sono realizzati.
Poi, con l’attacco all’Iraq, è arrivato il terzo atto, con un netto intensificarsi del conflitto, rimasto fino a quel momento relativamente circoscritto sia nella portata degli scontri sia nell’estensione geografica. In quel momento è sembrato che i pessimisti avessero ragione. Un’ondata di radicalismo ha contagiato il mondo islamico e, mentre l’Iraq precipitava nel caos, gli attentati si moltiplicavano in tutto il Medio Oriente. La violenza ha toccato anche l’Europa, con gli attentati in Spagna e Gran Bretagna. Allo stesso tempo si sono aggregati le divisioni tra le diverse comunità religiose, e il linguaggio dei politici e dei mezzi d’informazione si è fatto più aggressivo.
Quando i giovani delle metropoli francesi si sono ribellati si è parlato di un’intifada europea, mentre dopo la pubblicazione di vignette satiriche su Maometto in un quotidiano danese, nei paesi musulmani migliaia di persone sono scese in piazza per protestare. Sono stati i giorni più bui di tutto il conflitto.
Nel quarto atto, invece, la situazione è migliorata: perfino nel caos più drammatico alcuni elementi hanno preso una piega positiva. L’atteggiamento dell’opinione pubblica islamica, per esempio, è cambiato. Milioni di musulmani hanno cominciato a condannare gli attentati. Questo non significa che avessero dimenticato l’indignazione nei confronti degli Stati Uniti, di Israele e dell’occidente o che avessero accettato la globalizzazione. Quei musulmani avevano semplicemente smesso di considerare le tattiche di Al-Qaeda come armi legittime.
Uno degli esempi di questa trasformazione è arrivato dalla Giordania: prima degli attentati dl novembre 2005 ad Amman, secondo i sondaggi, quasi due terzi dei giordani condividevano le azioni di Osama bin Laden. Dopo gli attacchi, la quota era scesa al 24 per cento. Nel 2005 in Turchia i sostenitori di Bin Laden erano il 3 per cento, contro il 15 per cento di tre anni prima. La stessa cosa è avvenuta in Marocco, in Arabia Saudita e in Egitto: finché la violenza era lontana, astratta, le tattiche di Bin Laden si potevano condividere. Ma quando le persone hanno cominciato a veder morire i loro soldati, i poliziotti e i vicini di casa, la situazione è cambiata.
Nel 2007 si è registrato un certo miglioramento anche in Iraq. Quell’anno il presidente degli Stati Uniti George W. Bush ha deciso di inviare nuove truppe, con un radicale cambiamento di strategia adottato proprio mentre erano in corso solo tre svolte cruciali. Innanzitutto, gli sciiti avevano conquistato con relativa facilità gran parte dello spazio, geografico e politico, che potevano sottrarre ai sunniti, e la guerra civile si stava esaurendo. In secondo luogo, i miliziani sciiti che avevano combattuto contro i sunniti e americani si erano fortemente indeboliti a causa di problemi di organizzazione e disciplina. Ma la svolta più significativa è stata la terza: le comunità sunnite si sono rivoltate contro i militanti affiliati ad Al-Qaeda.
Costrette a scegliere tra loro interessi e l’ideologia dell’organizzazione, le tribù hanno preferito i primi. In sostanza hanno rifiutato sia la libertà che gli americani cercavano di imporre con i carri armati sia la visione del mondo di Al-Qaeda, altrettanto estranea al contesto culturale locale. In Europa, una più rigorosa organizzazione dei servizi di sicurezza, una maggiore attenzione verso la complessità del problema, la crescente maturità del dibattito pubblico e la scelta del nuovo governo britannico, guidato fa Gordon Brown, di accantonare il linguaggio fortemente ideologizzato dell’era Blair hanno consolidato i progressi fatti.

L’ultimo atto

L’uscita dall’abisso in cui si era precipitati a metà decennio è stata lenta ma costante. E oggi, all’inizio del 2010, nel mondo musulmano il sostegno a Bin Laden non fa che diminuire, mentre in occidente la violenza, seppure ancora allarmante, non viene più percepita come una minaccia per l’esistenza della nostra società. Che succederà nel quinto atto? La prima risposta riguarda l’Afghanistan. Mentre l’attenzione si concentrava sui fronti secondari, i taliban hanno riconquistato vaste zone del paese. Con l’aumento delle truppe statunitensi, ci saranno nuovi combattimenti, ma il ritiro è previsto per il 2011. gli occidentali sono stanchi e vogliono, se non la pace, almeno un coinvolgimento meno impegnativo. Gli scontri dei prossimi mesi potrebbero essere l’ultimo sussulto del conflitto.
Oggi è possibile immaginare un futuro non troppo lontano in cui le notizie provenienti dai fronti della lotta al terrorismo non occuperanno più le prime pagine dei giornali ogni giorno. Sarà possibile, allora, dare un nome a questa guerra? In generale sono i vincitori a decidere come chiamare i conflitti. Ma in questo momento è difficile trovare chi possa rivendicare la vittoria. Al-Qaeda ha perso molti dei suoi leader e non ha ottenuto quasi nessuno dei suoi obiettivi. Il radicalismo islamico rimane un fenomeno disorganico, le masse musulmane non sono insorte, l’istituzione di un califfato non è imminente e l’occidente non sta è stato indebolito come Al-Qaeda sperava. Gli unici governi che sono stati rovesciati nel mondo islamico sono stati quelli deposti dalle potenze occidentali, e la crisi finanziaria ha fatto più danni all’economia globale dell’11 settembre e di tutti gli attentati dello scorso decennio. L’economia statunitense ha dimostrato grandi capacità di ripresa, e anche in Europa gli scenari più terribili non si sono avverati.
Tirando le somme, si può dire che le società e i sistemi politici occidentali supereranno quest’ondata di violenza radicale come hanno superato le precedenti. Del resto, neanche in Medio Oriente c’è stata la catastrofe pronostica da alcuni osservatori. Comunque è difficile sostenere che a vincere sia stato l’occidente. Le minacce rimangono, le cause profonde del terrorismo non sono state affrontate e i progressi ottenuti sono tutt’altro che solidi. Nel dicembre del 2004, dopo la rielezione di George W. Bush, la rivista ufficiale dei servizi segreti statunitensi prevedeva una duratura “prosecuzione del predominio americano”. Nel 2009 quegli stessi servizi hanno annunciato che gli Stati Uniti stanno perdendo potere in un mondo sempre più multipolare. Se questa è una vittoria, l’America non potrà permettersene altre.
Gli sconfitti di questa guerra non sono invece difficili da individuare. Si tratta tutte le persone che si sono trovate sotto il fuoco incrociato degli scontri: le vittime dell’11 settembre, di Londra e di Madrid, quelle delle violenze settarie di Baghdad, gli uomini e le donne uccisi in Afghanistan dai missili statunitensi e dai kamikaze. E poi le persone giustiziate da Al Zarqawi, quelle che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non sono gli sconfitti, però, a decidere che nome dare alle guerre. L’unica cosa che si può prevedere con una ragionevole certezza è che nessuno troverà presto un nome appropriato per questo conflitto in cinque atti ancora senza titolo.

Jason Burke

Giornalista “Observer”

Esperto terrorismo islamico

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