Post di Pace...

giovedì 24 novembre 2011

Torneremo e saremo milioni...

Torneremo e saremo milioni...saremo milioni di operatori di pace, portatori sani di democrazia.
E' cosi cari lettori, che vogliamo mostrarvi la nostra presenza. attualmente, nonostante le continue e drammatiche notizie che arrivano dall'Egitto, alle prese con un rivolta pacifica per la democrazia dove continua la forte repressione di innocenti dall'esercito del regime militare egiziano governato dall'ex ministro della difesa del regime di Mubarak.
Nonostante le drammatiche notizie che arrivano dall'Europa , alle prese con la crisi economica più brutta di tutti i tempi, e dall'Italia che dopo la caduta del governo Berlusconi e l'insediamento del governo tecnico Monti con le relative protese, spesso silenziose, avviate dagli studenti di tutta Italia, NON SIAMO IN GRADO DI TENERVI AGGIORNATI E RACCONTARVI DI PACE, DARVI LA POSSIBILTA' DI SENTIR PARLARE DI PACE. GLI AGGIORNAMENTI E LE NUOVE IDEE CHE AVEVAMO PROGETTATO RICHIEDONO PIU' DEL PREVISTO E STIAMO METTENDO APPUNTO, NEL PIU' BREVE TEMPO POSSIBILE, IL SITO.
CI SCUSIAMO PER IL DISAGIO, MA SIAMO CERTI CHE AL NOSTRO RITORNO SAREMO PIU' FORTI E PIU' OPERATIVI, SIAMO SICURI CHE TORNEREMO E SAREMO MILIONI...

martedì 30 agosto 2011

Dal 19 settembre...di nuovo operativi per costruire la Pace...

Ciao a tutti cari lettori, l'estate sta finendo e dopo esserci goduti un po' di meritate vacanze, siamo tornati a lavorare per rendere il blog più efficiente e sempre aggiornato sulle tematiche di Pace, come già annunciato nelle scorse settimane, stiamo attivando nuove pagine per suscitare nuove emozioni ai nostri lettori. Non mancheranno sorprese, anzi come già detto, è nostra intenzione indire anche un concorso sulla Pace e poi pubblicare un libro con i vostri pensieri. Non esitate a seguirci ed aspettate che stiamo per tornare...

lunedì 8 agosto 2011

Aggiornamenti di Pace...

Cari lettori e lettrici, continuando a chiedervi scusa per il mancato servizio, fornito nei mesi, scorsi, vi annunciamo che il blog è in fase di aggiornamento e avremo la possibilità di pubblicare post solo nella home page. Per quanto riguarda le altre pagine, stiamo apportando alcune modifiche per rendere più piacevole la lettura. Saranno inoltre attivate altre due pagine dove potrete inserire video relativi al tema della pace, ovvero inserire vostre esperienze, emozioni o semplicemente canzoni che in un determinato istante evochino per voi la Pace. Un altra pagina che verrà attivata a partire da settembre sarà interamente dedicata ai nostri lettori, dove potranno inserire i loro pensieri di Pace, le loro emozioni sul tema della Pace. L'idea è quella di poter indire un concorso sulla Pace dove potrete esprimere i vostri pensieri, le vostri emozioni, le vostre storie, e poter pubblicare un libro interamente dedicato a voi.
Continuate a seguirci numerosi!!!!!

giovedì 4 agosto 2011

Estate di Pace...

Eccoci di nuovi tornati, dopo mesi di silenzio, nuovi mesi di eterno cordoglio, nei quali noi non ce la siamo sentiti di essere presenti di dissentire ogni giorno all'eterno dolore che proviene dal Medio Oriente. Un eterno dolore che continua a spezzare vite ingiustamente, sia dei nostri fratelli italiani, che seppur militari, si sacrificano per gli interessi di merda di Berlusconi, Bersani, e tutti gli altri politici che evindentemente reputano tutte queste guerre giuste. Per non parlare delle tante vittime civili, che non vengono mai citate in un cazzo di telegiornale.
A distanza di mesi, noi ci chiediamo: Com'è la situazione in Afghanistan? e in Iraq? e in Libia?
Per lungo mesi ci hanno sfracassato i coglioni con servizi giornalistici di cordoglio a Gheddafi, e gli altri o semplicemente per far vedere che a Lampedusa sbarcavano ogni giorni migliaia di libici per salvarsi dalla guerra.
MENZOGNE!!!!!!!!!
TUTTE STRONZATE, la questione sbarchi è un problema ben diverso dalla guerra libica, della quale non abbiamo più notizie, è deve essere affrontato per dare un aiuto ai nostri fratelli che sbarcano ogni giorno, cercando di dare loro la possibilità di integrarsi nella nostra società. Ma il fatto è che se vengono accolti in condizioni di merda, la loro ira non fa altro che sfociare in fughe incontrollate, criminalità e quant'altro e poi quando succede qualcosa di drammitico in Italia, non facciamo altro che dare la colpa a Tunisini, Algerini, Eritrei, Albanesi, Rumeni e via dicendo.
NO. IO NON CI STO E MI DISSOCIO DA OGNI FORMA DI DISCRIMINZIONE, I FRATELLI TUNISINI, ALGERINI, ERITREI, ALBANESI, RUMENI, CHE VENGONO IN ITALIA PER CREARSI UNA NUOVA VITA, SONO RISORSA PER VALORIZZARE IL NOSTRO PAESE, SONO FRATELLI DA INTEGRARE IN UNA SOCIETA' CIVILE.

MA TUTTO QUESTO IN ITALIA NON C'E', NON ESISTE E QUANDO SENTO PARLARE MALE DEI MIEI FRATELLI, PERMETTETEMI DI DIRE CHE IL "GRANDE" GIORGIO GABER, AVEVA RAGIONE: "IO NON MI SENTO ITALIANO, MA PER FORTUNA O PURPTROPPO LO SONO..."

lunedì 30 maggio 2011

Il cordoglio eterno per i nostri ragazzi e i fratelli afghani...

Ve lo ricordate il motivo che fece scaturire la guerra in Afghanistan? E vi ricordate le parole dei Capi di Stato delle maggiori potenze del mondo?

Noi si, e non possiamo dimenticarle di fronte a questa nuova strage avvenuta alle 9:15 di questa mattina ad Herat in Afghanistan. Strage che coinvolto ancora un volta i nostri militari e civili e polizia afghana. Il bilancio è di 4 morti e 24 feriti, ma purtroppo sono ancora dati provvisori in quanto, i kamikaze che si sono fatti esplodere nella base militare affidata al comando militare italiano, sono ben 4.
Ma come non doveva essere una guerra lampo?
Ebbene si, cari lettori, cosi dissero i nostri capi di governo, una guerra che doveva durare solo il tempo di catturare il capo di Al-Qaeda Osama Bin Laden. Dunque questo lampo è durato 10 anni esatti e tutto sembrava terminato con la cattura e la morte di Bin Laden.
Quindi la guerra è finita, ci chiedevamo appena trapelate le notizie sulla relativa morte del capo di Al-Qaeda, macché, la guerra continua e i talebani, a questo punto capri espiatori, ci vien da pensare, continuano ad attaccare gli eserciti dell'Onu impegnati in guerra, mietendo vittime innocenti ogni giorno, così come ogni giorno mietono vittime innocenti anche gli eserciti Onu.
E' vergognoso dover subire questo continuo scempio, cosi come è così vergognoso dover sentire dai telegiornali notizie false sulla guerra afghana. Possibile che tutti continuano a pensare che la colpa sia dei terroristi di Al-Qaeda?
No, noi non ci crediamo e continuiamo a sostenere che Al-Qaeda si solo un pretesto, e che il vero movente di questa lunga, devastante e sanguinosa guerra sia l'oro nero, il petrolio. In fin dei conti, da quando l'uomo è apparso sulla Terra sa benissimo che il Medio Oriente è ricco di petrolio e di altre importanti risorse minerarie.
E' inutile che i politici continuano a prenderci in giro con delle fesserie gratuite che non servono più; dobbiamo perciò con tutte le nostre forze tentare di fermarli e far capire loro che ogni guerra deve cessare al più presto, perché è caro il prezzo che fino ad ora abbiamo pagato. Devono capire che non possono più morire nostri fratelli, seppur militari volontariamente partiti per le missioni di guerra, per cercare di tenere sotto controllo tutti i giacimenti afghani.
Noi comunque vada, nella speranza che un giorno tutto questo possa finire, resteremo sempre contrari ad ogni guerra e ci faremo portatori di un sano messaggio di pace.
NO ALLA GUERRA NEL MIO NOME. NOT WAR IN MY NAME.

giovedì 26 maggio 2011

E va sempre così...tanto stare zitti ci conviene!!!!

Ma la guerra in Libia è finita?
No perchè, siccome i giornali non ci tartassano più, pensavo che la risoluzione "pacifica" dell'esercito ONU fosse termina. Hanno preso Gheddafi? Wow scusate non ce ne siamo accorti. Allora la guerra è davvero finita.
Ma VAFFANCULO!!!!!!!!!!
La guerra NON è FINITA, anzi continua e ogni centinaia di innocenti continuano a morire per gli sporchi interessi dei Politici di MERDA. Fortuna ch l'hanno definita guerra lampo. E se non era lampo??????? Già lo sappiamo il finale sarà un lampo che durerà altri 20 anni nel silenzio cosi come tutte le guerre che iniziano e che non hanno mai fine. Dicono che sono guerre per sbarazzarsi dei DITTATORI del Medio-Oriente, ma a NOI non ci fanno fessi e lo SAPPIAMO bene che l'unico movente di tutte queste guerre sono il PETROLIO e il DENARO SPORCO, e tutti gli interessi delle nostre NAZIONI, che incapaci di governare, mostrano la loro potenza con la forza delle armi.
Io non ci sto più a questo scempio, non sopporto il mio PAESE che continua a stare in silenzio, non sopporto Barack Obama, insignito del Premio Nobel per La PACE è che NON merita affatto in quanto si è mostrato come uno STRONZO come tutti i Presidenti USA.

Io mi dissocio da tutto questo, e anche se è solo una speranza , vorrei che la guerra in LIBIA e tutte le guerre di interesse finiscano al più presto. IO MI DISSOCIO DA OGNI GUERRA. NO LA GUERRA NEL MIO NOME...

Bolivia, al via il progetto “Mi agua”

Fortemente voluto da Evo Morales garantirà acqua potabile per tutti e la possibilità di creare nuove infrastrutture

L'acqua non sarà più un problema da affrontare per i boliviani e la conferma arriva direttamente dalle parole pronunciate dal presidente Evo Morales, durante un incontro a cui hanno partecipato migliaia di persone aChuquisaca, uno dei distretti boliviani.

Qui sono ben 79 i progetti già approvati. Progetti che porteranno acqua ai villaggi e alle comunità della zona e che hanno visto lo Stato investire una cifra equivalente a circa 8 milioni di dollari.

Acqua potabile per tutti, quindi. Un progetto fortemente voluto dal presidente che ha fatto molti importanti investimenti economici per dare seguito alla sua volontà di vedere un Paese che si sviluppi verso la strada dell'autosufficienza alimentare.

In totale il progetto, denominato "Mi Agua", prevede finanziamenti che vanno da un minimo di 100 milioni di dollari a un massimo di 300 e che verranno destinati a 327 comuni che potranno in questo modo approvvigionarsi di acqua potabile.

La possibilità di rifornire d'acqua villaggi e comunità è estremamente importante anche per la possibilità d'irrigazione delle zone agricole e di conseguenza diventa un passaggio fondamentale per arrivare alla totale indipendenza nel settore alimentare.

In ogni caso, il progetto è colossale e prevede che alla fine ogni comune potrà contare su un finanziamento pari a circa 300mila dollari. Il progetto prevede che a beneficiarne siano solo ed esclusivamente i villaggi e le comunità considerando che l'amministrazione ha pensato aaltri programmi per le grandi città del Paese.

Morales in questo progetto crede molto e lo ritiene fondamentale per lo sviluppo del Paese. Da quando è iniziato, infatti, sono stati davvero molti i sindaci dei municipi che si sono adoperati per portare a casa i finanziamenti promessi e migliorare le condizioni di vita della popolazione e non solo.

A tutti gli effetti "Mi Agua" serve anche per ampliare i servizi a disposizione dei cittadini e per la costruzione di dighe (per la produzione di energia elettrica), costruzione di pozzi per la ricerca di acqua, dislocamento di una fitta rete di tubature per il trasporto dell'acqua e aree dedicate alla sua conservazione.

In ultimo: il Fondo nazionale per gli investimenti sociali erogherà nei prossimi giorni le somme necessarie per l'avvio dei progetti per l'irrigazione dei campi agricoli.

Da "PeaceReporter.net"

martedì 17 maggio 2011

Pakistan, un modo nuovo di fare scuola

Nella provincia di Sindh, un esperimento per educare le nuove generazioni al pensiero critico

Educare le nuove generazioni al pensiero critico. La scommessa viene da Sindh, provincia del Pakistan il cui governo ha deciso di dare una rispolverata al sistema scolastico pubblico, viziato dai condizionamenti ideologici dei regimi autoritari e del fondamentalismo coranico e talebano. Una bella sfida per un Paese che è al secondo posto nel mondo per numero di ragazzi che non vanno a scuola (25 milioni) e dove solo il 32 per cento delle donne sa leggere (censimento 2008).

Sharmeen Obaid-Chinoy, giornalista edocumentarista pakistana, è uno dei consulenti che aiuteranno Sindh a cambiare volto alla scuola. Chiacchierando con lei si intuisce perché il governo le ha affidato questo compito: laureata in economia e politica, attivista per i diritti civili, vincitrice di un Emmy Award per il documentario "Pakistan:Children of the Taliban", Sharmeen incarna un ideale di donna intellettuale poco comune in Pakistan: letterata, anticonformista e consapevole.

"La mia fortuna più grande è stata quella di poter studiare in una scuola privata” racconta Sharmeen a PeaceReporter. “In Pakistan la differenza tra istituti privati e pubblici è abissale. Nei primi gli studenti ricevono un’educazione all’occidentale, moderna e competitiva. Nei secondi sono indottrinati a non pensare. I concetti contenuti nei libri di scuola, spesso errati e datati, vengono appresi a memoria, senza essere capiti. Gli insegnanti, del resto, non sono tenuti a fornire strumenti di interpretazione della realtà ma si limitano ad essere il prodotto di un sistema che svezza generazioni di giovani fragili , facili prede del terrorismo”.

Ma qualcosa, almeno in una delle quattro province del Paese, sta per cambiare. Abbiamo chiesto a Sharmeen di raccontarci in anteprima la riforma promossa da Sindh.

Il progetto non è ancora ufficialmente partito. Ci vuoi anticipare di cosa si tratta?

Abbiamo da poco terminato la fase di raccolta dei fondi e nel giro di un mese partiremo con una campagna mediatica per portare attenzione sul tema. Le linee di intervento del progetto di riforma sono tre: la prima è di diffondere un nuovo approccio mentale. Vogliamo mettere i giovani nelle condizioni di sviluppare un pensiero critico nei confronti della società in cui vivono. Lo faremo, ad esempio, inserendo esercizi di problem solving, creatività e logica nel programma didattico; Il secondo intervento sarà avviare un programma di training per gli insegnanti, che dovranno essere gli ambasciatori del cambiamento culturale. Il terzo consisterà nel sostituire i libri di testo utilizzati nelle scuole pubbliche con volumi aggiornati in grado di veicolare una visione più ampia dei fatti.

Chi scrive i libri di testo in Pakistan?

Fino a non molto tempo fa era il governo a scrivere e a selezionare, attraverso una commissione speciale, i libri più adatti a rientrare nei programmi scolastici. Negli anni ‘70 erano diffusi libri molto moderni. Poi nel corso degli anni ‘80 sono stati sostituiti da testi sempre più faziosi e parziali. Ogni riferimento a ciò che accadeva fuori dal Pakistan è stato eliminato, con l'effetto di chiudere il nostro Paese in un isolamento pericoloso. Oggi, fortunatamente assistiamo alla nascita di un nuovo mercato dell’editoria privato. Questo è positivo perché getta le basi per una pluralità di idee prima inconcepibile e per una competizione sana.

Come riuscirete a cambiar la testa degli insegnanti

E’ dura perché manca la mentalità. Nella provincia di Sindh ci sono 1.500 docenti (per circa 13 milioni di giovani sotto i 16 anni ndr). La sfida più grande sarà riuscire a trasmettere loro fiducia in se stessi e a convincerli dell’importanza del loro ruolo formativo. Per questo stiamo scrivendo delle vere e proprie “teacher’s guide” con cui li sproneremo a diventare portavoce di un pensiero libero.

Quanto tempo ci vorrà per fare tutto questo?

Tanto. Ci vorrà una generazione almeno per cambiare le cose. Dieci, quindici anni. Ma dobbiamo pur cominciare, no? Era ora che il governo se ne accorgesse. Il mondo è di chi ha pazienza, dice un proverbio, e Sharmeen Obaid-Chinoy non è una che si arrende alla prima difficoltà. Grazie al suo impulso, nel 2007 prende luce il “Citizen Archive of Pakistan”, il primo archivio digitale pakistano nato per documentare la storia orale del Paese attraverso interviste, fotografie e testimonianze del passato. Il Cap, di cui Sharmeen è oggi Presidente, ha tra le sue funzioni quella di correggere nelle nuove generazioni gli errori del passato. Per esempio con il programma di scambio culturale “Exchange for change” in cui studenti Pakistani e Indiani decidono di inviarsi lettere, fotografie e racconti per un anno per apprendere, gli uni dagli altri, a non avere pregiudizi e a farsi una opinione propria, sin da piccoli.

"Da Peacereporter.net"

Un cordoglio...lungo un mese

E' passato oltre un mese dall'ultimo post pubblicato, l'ultimo post di pace in questo momento così delicato per le sorti del mondo. Chiediamo a tutti SCUSA, per NON essere stati in grado di mostrare il nostro più sentito cordoglio alle tante vittime che hanno provocato le guerre nel mondo in questo ultimo mese, dalle morte di Vittorio Arrigoni, volontario di Pace morto in Palestina, passando per le tante vittime di guerra che ogni giorno muoiono ingiustamente nelle guerre in Afghanistan, Iraq e tutte le altre guerre, fino ad arrivare alla tante vittime del terrorismo di Al-Qaeda.
Chiediamo scusa per non essere riusciti ad esprimere il nostro cordoglio in maniera esplicita, ma abbiamo preferito farlo nel nostro silenzio osservando in rigoroso, rispettoso e doveroso silenzio il nostro sentimento di Pace.
Abbiamo atteso in questo lungo mese, un segnale dai Capi di Stato, ma ciò non è avvenuto ed è anche per questo che abbiamo scelto la via del silenzio, come segno di boicottaggio contro questi politici di merda che non hanno rispetto per niente e nessuno.
Il più profondo cordoglio va alle tante famiglie che ogni giorno soffrono nel loro silenzio i loro cari scomparsi e noi ci uniamo al loro silenzio ed esprimiamo il nostro messaggio sincero di pace, con la speranza che ogni giorno tutto questo possa finire una volta per tutte.
Noi continueremo a sostenere la Pace, sempre...

venerdì 1 aprile 2011

Storie di Pace...Muhammad Yunus


La "Storia di Pace" di questa settimana è quella di Muhammad Yunus, economista e banchiere, ideatore della Grameen Bank, prima banca al mondo ad effettuare prestiti ai più poveri tra i poveri basandosi non già sulla solvibilità, bensì sulla fiducia. E' stato Premio Nobel per la Pace nell 2006.

mercoledì 30 marzo 2011

Il governo peruviano tende la mano agli indigeni

Si tratta delle popolazioni 'incotattate', ossia rimaste isolate dal resto del mondo e in totale armonia con la foresta, che rischiano la morte per l'avidità dei tagliatori di legna

Le autorità peruviane hanno ceduto allapressione internazionale e hanno annunciato la decisione di collaborare con il governo brasiliano per impedire che itaglialegna invadano il territorio delle popolazioni "incotattate", ossia gli indigeni che sono riusciti a evitare finora ogni contatto con la nostra civiltà. Popoli che vivono in sembianza con la natura e il cui ecosistema è fragile e delicato. Qualsiasi cambiamento artificiale potrebbe compromettere per sempre la loro esistenza. "Ci metteremo in contatto con l'istituto brasiliano Funai per proteggere questi popoli e impedire le incursioni illegali dei taglialegna e il saccheggio dell'Amazzonia". Queste le parole del Ministro degli esteri peruviano in un comunicato stampa rilasciato mercoledì 2 febbraio.

Si tratta dunque di una decisione storica, arrivata grazie alla campagna lanciata dalla OngSurvival International per proteggere le terre degli Indiani isolati che abitano nell'area di frontiera tra Perù e Brasile, la quale ha ottenuto una copertura mediatica internazionale. Al centro di tutto, le nuove immagini scattate a questo popolo dalla Funai, il dipartimento governativo degli affari indiani del Brasile, con lo scopo, proprio, di sensibilizzare l'opinione pubblica e salvare il salvabile. Foto che mostrano una comunità prospera e forte con ceste piene di manioca e papaia appena raccolte nei loro orti."Come primo passo è davvero incoraggiante - ha replicato il direttore generale di Survival Stephen Corry - Confidiamo che a questa dichiarazione seguano rapidamente azioni concrete".

A minacciare seriamente la sopravvivenza della tribù è appunto la penetrazione massiccia e illegale dei cercatori di legna pregiata che penetrano in questo fazzoletto di Amazzonia dal lato peruviano del confine. Le autorità brasiliane ritengono che l'invasione stia spingendo gli Indiani isolati peruviani verso il Brasile, e che i due popoli possano entrare in conflitto.

Da anni Survival e altre Ong chiedono al governo peruviano di intervenire con determinazione ed efficacia per fermare l'invasione, ma è stato fatto ben poco.
L'anno scorso, l'organizzazione americana Upper Amazon Conservancy ha effettuato l'ultimo di una serie di voli di ricognizione sul lato peruviano fornendo ulteriori prove del taglio illegale del legname in corso in un'area protetta.

"È necessario ribadire che queste tribù esistono" ha dichiarato oggi Marcos Apurinã, coordinatore dell'organizzazione degli Indiani amazzonici brasiliani Coiab, "quindi abbiamo deciso di appoggiare la diffusione di queste immagini che documentano i fatti. I fondamentali diritti umani di questi popoli vengono ignorati, soprattutto quello alla vita. Pertanto, è di vitale importanza proteggerli."
"Dobbiamo proteggere i luoghi in cui gli Indiani vivono, cacciano, pescano e coltivano - ha precisato, invece, Davi Kopenawa Yanomami, famoso leader degli Indiani brasiliani - Diffondere le immagini degli Indiani incontattati è utile perché mostrano al mondo intero che sono lì, nelle loro foreste, e che le autorità devono rispettare il loro diritto di vivere nelle loro terre".
"Siamo profondamente preoccupati per la mancanza di intervento da parte delle autorità - ha quindi precisato l'organizzazione degli Indiani amazzonici Aidesep - Nonostante le sollecitazioni contro il disboscamento illegale che giungono da fuori e dentro il Perù, non è ancora stato fatto nulla". Almeno finora.

Stella Spinelli (Peacereporter.net)

Libri di Pace...Il contrario della morte di Roberto Saviano

Dopo una lunga attesa eccoci tornati con una nuova proposta letteraria. Calvacando l'onda dell'indiscutibile successo che sta vivendo Roberto Saviano, proponiamo un suo libro pubblicato nel 2008 grazie al contributo del Corriere della Sera.
Per saperne di più, potrete leggere la trama nella pagina "Libri di Pace", con la speranza che possa suscitare la vostra curiosità per potervi immergere così nella storia.

martedì 29 marzo 2011

Cambiamenti a vista d'occhio...sul blog, cambia nome la pagina "Messaggi di Pace"

Cari lettori,
oggi dopo un lungo periodo di attesa siamo tornati ad inserire nella pagina "Messaggi di Pace", un nuovo aforisma. Questa settimana abbiamo dedicato spazio a Jim Morrison, il mitico cantante, che spesso con le sue canzoni, con le sue parole, ci ha lasciato riflettere sulla pace e sul senso della vita.

Ma non finisce qui. Ci siamo resi conto dopo, che la pagina "Messaggi di Pace" doveva subire un cambiamento "epocale", e infatti da oggi abbiamo deciso di cambiare il nome della pagina che da oggi sarà "Aforismi di Pace". Abbiamo deciso di fare cambiamenti per non sminuire i profondi pensieri dei grandi uomini che con le loro parole hanno scritto la storia della Pace e della Non Violenza.

Poesie contro la guerra..."Uomo del mio tempo" di Salvatore Quasimodo

Cari lettori, come forse ben sapete, eccoci, come ogni martedì a rendere omaggio alla pace con una poesia, che potrete trovare nella pagina "Poesie contro la guerra".

La poesia di questa settimana è "Uomo del mio tempo" di Salvatore Quasimodo, scritta nel 1946

Buona lettura!!!!!!!!

La Libia che non si legge sui giornali

Sono stato in Libia, da lavoratore, fino al 21 febbraio scorso quando, costretto dagli eventi, ho dovuto abbandonarla con l’ultimo volo di linea Alitalia.

Ho avuto modo di conoscere gran parte del Paese, da Tripoli a Bengasi, a Ras Lanuf a Marsa El Brega a Gadames, non frequentando gli ambienti dorati, ovattati e distaccati dei grandi alberghi, ma vivendo da lavoratore tra lavoratori e a quotidiano contatto con ambienti popolari, sempre riscontrando cordialità e sentimenti di amicizia per certi versi inaspettati e sorprendenti. Non era raro per strada sentirsi chiedere di poter fare assieme una fotografia da chi si accorgeva di stare incrociando degli italiani, peraltro numerosissimi anche per le tantissime imprese che vi operavano, dalle più grandi (ENI, Finmeccanica, Impregilo ecc.) alle più piccole (infissi, sanitari, rubinetterie, arredamenti ecc.), in un ambiente favorevolissimo, direi familiare…

Da quello che ho potuto constatare il tenore di vita libico era abbastanza soddisfacente: il pane veniva praticamente regalato, 10 uova costavano l’equivalente di 1 euro, 1 kg di pesce spada cira 5 euro, un litro di benzina circa 10 centesimi di euro; la corrente elettrica era di fatto gratuita;

decine e decine di migliaia di alloggi già costruiti e ancora in costruzione per garantire una casa a tutti (150-200 m2 ad alloggio….); l’acqua potabile portata dal deserto già in quasi tutte le città con un’opera ciclopica, in via di completamento, chiamata “grande fiume”; era stata avviata la costruzione della ferrovia ad alta velocità e appaltato il primo lotto tra Bengasi e il confine egiziano della modernissima autostrada inserita nell’accordo con l’Italia; tutti erano dotati di cellulari, il costo delle chiamate era irrisorio, la televisione satellitare era presente sostanzialmente in ogni famiglia e nessun programma era soggetto a oscuramento, così come internet alla portata di tutti, con ogni sito accessibile, compreso i social network (Facebook e Twitter), Skype e la comunicazione a mezzo e-mail.

Dalla fine dell’embargo la situazione, anche “democratica”, era migliorata tantissimo e il trend era decisamente positivo: i libici erano liberi di andare all’estero e rientrare a proprio piacimento e un reddito era sostanzialmente garantito a tutti.

Quando sono scoppiati i primi disordini, la sensazione che tutti lì abbiamo avuto è stata quella che qualcuno stava fomentando rivalità mai sopite tra la regione di Bengasi e la Tripolitania, così come le notizie che rilanciavano le varie emittenti satellitari apparivano palesemente gonfiate quando non addirittura destituite da ogni fondamento: fosse comuni, bombardamenti di aerei sui dimostranti ecc.

Certamente dal punto di vista democratico i margini di miglioramento non saranno stati trascurabili, del resto come in tanti altri paesi come l’Arabia Saudita, la Cina, il Pakistan, la Siria, gli Emirati Arabi, il Sudan, lo Yemen, la Nigeria ecc. ecc… e forse anche un po’ da noi! Pertanto prima o poi qualcuno dovrà spiegare perché in questi Paesi non si interviene…

Sono triste e amareggiato al pensiero di come sarò considerato dagli amici libici che ho lasciato laggiù dopo questa scellerata decisione di stupidissimo interventismo!
*Ingegnere Gruppo ENI

Il cantante cubano Silvio Rodriguez ha definito la risoluzione dell’ONU un atto di barbarie contro la Libia

Durante una conferenza stampa, per presentare il suo concerto di Sabato 19 Marzo nella città domenicana di Santiago, il cantante cubano Silvio Rodriguez ha criticato la risoluzione dell’ONU che di fatto autorizza un’azione militare contro la Libia e l’ha definita un atto barbaro.
Nella sua dichiarazione il cantante ha affermato che non è possibile usare le istituzione che rappresentano tutti gli esseri umani per commettere atti di crudeltà e umiliazione contro la dignità dei paesi e dei popoli e ha concluso ricordando che i paesi dell’Alternativa Bolivariana per le Americhe (ALBA), difende la sovranità delle nazioni e che Cuba sarà sempre a fianco dei paesi liberi.
La risoluzione delle Nazioni Unite che da la possibilità alle nazioni imperialiste aderenti alla NATO di poter bombardare un paese sovrano è effettivamente un atto di vera atrocità, ricordiamo che questi paesi sono gli stessi che uccidono centinaia di civili in Afganistan con la loro guerra umanitaria, che lasciano affogare centinaia di profughi nelle loro traversate della speranza, che hanno sottomesso e colonizzato paesi e popoli sino a quando i movimenti di liberazione, come quello guidato dal Colonnello Gheddafi, non li hanno sconfitti e cacciati, in particolare è interessante ripensare al terribile periodo coloniale francese in Algeria.

venerdì 25 marzo 2011

Storie di Pace...Gene Sharp


La "Storia di Pace" di questa settimana è dedicata a Gene Sharp, filosofo, politico ed intellettuale statunitense, sostenitore del pensiero non violento.

Per leggere la sua storia, basta semplicemente andare in "Storie di Pace".

mercoledì 23 marzo 2011

Filippine, speranze di pace

Dopo sei anni di stallo, è ripreso in Norvegia il negoziato tra la guerriglia maoista del Nuovo Esercito Popolare (Npa) e il nuovo governo del presidente Benigno 'Noynoy' Aquino III

Il conflitto armato filippino tra le forze armate di Manila e i guerriglieri comunisti del Nuovo Esercito Popolare (Npa), iniziato nel lontano1969 e costato finora oltre 40 mila morti, sembra finalmente arrivato alla fine.

Nei giorni scorsi, il gruppo armato fondato e capeggiato dall'anziano intellettuale maoista José Maria Sison - da anni rifugiato in Olanda - hanno accettato la ripresa dei negoziati di pace, interrotti nel 2004dall'allora presidentessa Gloria Arroyo.

Dopo oltre sei anni di stallo, durante il quali il conflitto armato è riesploso con violenza e lo stesso Sison ha subito un arresto in Olanda, martedì i negoziatori delle due parti sono tornati a sedersi attorno a un tavolo in Norvegia, alla periferia di Oslo.

A dare speranza è il fatto che per la prima nella storia di questo conflitto, l'Npa ha ha accettato di rispettare un cessate il fuoco di sette giorni per favorire la ripresa del dialogo:non era mai successo da quando, venticinque anni fa, ribelli e governo hanno iniziato a parlarsi.

La svolta di questi giorni è il risultato del nuovo corso politico intrapreso dalle Filippine dopo l'elezione di Benigno 'Noynoy' Aquino III. Il nuovo presidente, erede della tradizione politica popolare di sua madre Corazon, ha offerto all'Npa riforme sociali in cambio della pace.

I guerriglieri, che ufficialmente combattono per instaurare un governo socialista, potrebbero accettare di deporre le armi in cambio di serie iniziative del governo per contrastare le drammatiche ingiustizie e diseguaglianze che ancora affliggono le zone rurali dell'arcipelago filippino.

Secondo un recente rapporto dell'International Crisis Group (Icg), il ritorno al tavolo negoziale è anche il frutto dell'età ormai avanzata della leadership politica dell'Npa - ormai consapevole del fatto che non riuscirà mai a vedere il trionfo della rivoluzione - e del del riconoscimento, da parte dei vertici militari filippini, dell'impossibilità di una vittoria definitiva sulla ribellione.

Negli ultimi anni, infatti, la guerriglia maoista filippina si è rafforzata sia in termini di uomini, che di territorio controllato che di azioni condotte: tutto questo nonostante l'intensificazione delle operazioni militari di contro-insurrezione, spesso affidate a gruppi paramilitari che si sono macchiati di gravi crimini e violazioni dei diritti umani.

Il timore del presidente Aquino è che alcuni generali, quelli della destra oltranzista dell'esercito, notoriamente contraria a ogni trattativa con ''i terroristi rossi'', possano sabotare la ripresa dei negoziati. Timori cresciuti dopo la cattura di uno dei leader storici dell'Npa, Alan Jazmines, operata dai militari lunedì, proprio alla viglia dei negoziati di Oslo.

Da: "Peacereporter.net

martedì 22 marzo 2011

Evo Morales ha chiesto di revocare il Premio Nobel per la Pace al presidente americano Barack Obama

Evo Morales ha chiesto di revocare il Nobel per la Pace al presidente americano Barack Obama, che il leader socialista della Bolivia ritiene indegno del premio perché‚ "promuove la violenza" con l'intervento militare in Libia. Obama "in questo momento difende la pace o incoraggia piuttosto la violenza? Come è possibile che un premio Nobel per la Pace possa avviare un'invasione, un bombardamento?", ha chiesto il presidente latino-americano. Il presidente boliviano si è rivolto direttamente al Comitato dei Nobel norvegese di ritirare il premio assegnato al presidente degli Stati Uniti Barack Obama nell'ottobre del 2009, a pochi mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca. "Come è possibile - ha detto Morales che un premio Nobel per la Pace guidi una combriccola per assalire e invadere, questa non è difesa dei diritti umani nè (rispetto) per l'autodeterminazione dei popoli". Poi Morales è tornato a criticare la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla Libia: "L'Onu dovrebbe piuttosto chiamarsi Oni, ovvero Organizzazione delle Nazioni che Invadono" ha dichiarato con amarezza !

Poesie contro la guerra...Dario Bellezza

Salve a tutti, FRATELLI di PACE!!!!!!!

Dopo molto tempo, dall'ultima poesia pubblicata nella pagina "Poesie contro la guerra", torniamo in grande stile e lo facciamo con la poesia di Pace, "Se viene la guerra" di Dario Bellezza, poeta e scrittore omosessuale, morto di AIDS nel 1996

NON FATEVI INGANNARE DAL TITOLO, LA POESIA E' UN INNO ALLA NON VIOLENZA E SUSCITA GRANDE EMOZIONE.

BUONA LETTURA!!!!!!!!!!

Quando una guerra la chiamano risoluzione...

Sono passati tre giorni, dall'inizio della guerra in Libia, e stampa e telegiornali italiani, salvo qualche eccezione, non citano questa parola terribile. Non la chiamano guerra, non la chiamano attacco, ma la chiamano semplicemente risoluzione, perchè gli Stati della Nato, si professano i protettori del popolo libico per debellare il dittatore Gheddafi.
Ma noi liberi pensatori, ci chiediamo: Come può una guerra essere chiamata risoluzione? Come si può mandar via un dittatore con la forza delle armi?
Personalmente, rispondendo a questo domande, mi trovo a dover dire che questa non è la soluzione migliore, perchè in questo sporco gioco di affari commerciali, si ritrovano invischiati vittime innocenti. Il vero problema è che questa guerra contro Gheddafi, perché cosi si chiama, vuole nascondere le paure delle Potenze europee e degli Usa che non potranno gestire più il petrolio, risorsa fondamentale per lo sviluppo di questo capitalismo di merda.
che Gheddafi sia un dittatore da mandare via, è chiaro ed evidente, perchè dopo molti anni una dittatura è destinata a morire da sola, perchè di fronte a questa terribile forma di governo, si oppone un popolo che cerca la sua autodeterminazione. Io credo che per liberarci di Gheddafi, benché con molta difficoltà, si debba arrivare al dialogo, e dovrebbero iniziare proprio i suoi "amici" Berlusconi e Putin, ma così non sarà e i bombardamenti continueranno, anche nel nome di Barack Obama, l'uomo della "speranza" il Presidente americano, primo nero eletto, che doveva cambiare le sorti del mondo, apportando la vera democrazia senza uso di armi come sosteneva nei suoi discorsi di insediamento. Invece a tre anni dalla sua elezione è diventato "schiavo" anche lui del sistema capitalista e dei servizi segreti. Uomini così, sono solo dei falsi e inutili che illudono la gente, e che oltre le guerre non hanno altro modo per risolvere un problema.
Ogni uomo che, inizia una guerra per dimostrare la sua forza, è uomo debole, vittima di un sistema informe che sta distruggendo la regolare Natura della Terra, ma il disegno Divino è ben più grande di quel che pensano i nostri politici filo-capitalisti, che presto ci condurranno alla totale distruzione.

venerdì 11 marzo 2011

Storie di Pace...Angelo Frammartino


Ecco per voi una nuova "Storia di Pace", dedicata questa settimana ad Angelo Frammartino, volontario in una missione di Pace VERA, non come le pseudo "missioni di pace" dei militari mercenari, che con le armi sparano sui civili. Angelo ha dato il suo contributo in Palestina aiutando i bambini vittime del conflitto israelo-palestinese. Ma Angelo non è molto di più...non voglio dirvi altro, andate nella pagina "Storie di Pace" e lo scoprirete voi...


"Le vere missioni di Pace, sono quelle che compiamo agendo con il cuore e l'amore. Non con le armi." Daniele Pastore

giovedì 10 marzo 2011

Per una Palestina unita

Mentre si avvicina la giornata della riconciliazione, i movimenti giovanili di Gaza gridano la loro indipendenza dalle strumentalizzazioni della stampa e della politica

Dopo il vaffanculo ad Hamas, Israele, Fatah, Onu, Unwra e il vaffanculo Usa!, incipit del primo documento dei Gybo, i ragazzi di Gaza desiderano mandare a quel paese anche tutti quei media occidentali che in queste settimane hanno strumentalizzato il loro manifesto, il cyber-urlo di rabbia di una generazione di giovani palestinesi oppressa da un nemico esterno e soffocata all'interno da governi a corto di lungimiranza e poco rappresentativi. Nel caffè degli artisti di Gaza City dove sono solito incontrarli, ho cercato di spiegare come molti giornalisti europei e americani sbarcano a Tel Aviv ed oltrepassano il valico di Erez con già il pezzo scritto in testa, e nella Striscia vanno a caccia di conferme contro il governo di Gaza. E in effetti, dal Guardian fino a La Stampa, il loro primo urlo di sfogo, magari ingenuo ma certamente genuino, e' stato dipinto come un attacco diretto ad Hamas. Questa mistificazione, è stata poi raccolta ancora più ingenuamente e rilanciata da molti attivisti in Europa e nel mondo, specie da coloro che insistono a sostenere una fazione a scapito dell'altra ignorando che di fatto la rabbia della maggior parte dei ragazzi palestinesi non ha al momento alcuna rappresentanza politica. Addirittura alcuni da fuori dalla Striscia hanno accusato i Gybo di essere a libro paga di Abu Mazen e la sua cricca di collaborazionisti; intellettuali e attivisti seduti nei loro confortevoli salotti che non si sono mai sporcati mai le mani del sangue e della sofferenza di un popolo in perenne lotta contro l'occupazione,e che non si scomodano neanche di approfondire le questioni sui qui discettano con la protervia dell'onniscenza.. Dopo tutto, per sciogliere ogni dubbio sulla assoluta buona fede e autenticità del movimento Gybo non è necessaria un'indagine investigativa da premio Pulitzer, ma basta digitare sulla tastiera l'indirizzo del loro sito e leggersi il loro secondo messaggio, pubblicato ben 2 mesi fa, nel quale con forza rispedivano al mittente le strumentalizzazioni e le accuse di chi li ha additati di parteggiare per questa o quella fazione. Oggi i Gybo sono colonna portante del movimento 15 marzo, che si propone di portare sulle piazze della Palestina e nel mondo migliaia di persone, in una giornata che è stata battezzata non della collera, ma bensì della riconciliazione, con una forte e sensata richiesta di "End of division", la fine della divisione fra Fatah e Hamas. "Gaza, Ramallah, Jenin, Nablus, ma anche in molte città della Palestina del '48 come Haifa e Tel Aviv, ci saranno manifestazioni e sit-in, oltre che in tutto il mondo arabo e in Brasile, in Italia, in Francia e in Italia" mi conferma Abu Yazan. Gaza è in fermento, e mentre i ragazzi mi aggiornano sui preparativi, a Sud della Striscia, a Khan Younis e Rafah volantinaggi stanno informando la popolazione dell'evento. "Buona parte delle famiglie beduini è dalla nostra parte, e in generale, non crediate si riverseranno in piazza solo giovani, ma bensì padri madri e nonni," continua Abu Yazan, "abbiamo colloqui stretti con tutti i i leader delle varie fazioni e sono i benvenuti con noi il 15 marzo, a patto che non espongono alcuna bandiera se non quella palestinese, e non intonino altri slogan se non quello che richiamino all'unità nazionale". I ragazzi sono ancora più motivati e certi della riuscita del loro evento, nonostante l'oppressione e l'intimidazione che a Gaza come a Ramallah inibisce la libertà di espressione: nella Striscia negli ultimi due giorni, la polizia di Hamas ha arrestato dodici giovani che distribuivano depliant e adesivi sull'evento. Continua Any Yazen: "La Croce Rossa ci ha fornito delle tende e l'idea è quella di restare accampati dal 15 marzo giorno e notte senza sosta (a dormire in piazza rimarrebbero solo gli uomini per non scandalizzare i dettami del governo della Striscia) fin quando Gaza e Ramallah non si siedano ad un tavolo comune. Alcune famiglie benestanti ci hanno promesso forniture di cibo e bevande, agli arghile provvederemo noi", continua, "ci stiamo accordando con la polizia di Hamas e abbiamo predisposto un nostro servizio di sicurezza interna affinchè' ogni atto di violenza o il semplice inneggiare contro il senso della nostra giornata sia inibito. Chiunque creerà disordine verrà allontanato dalla piazza". La rivoluzione dei giovani egiziani brucia nei loro occhi, e contagia la loro convinzione che fra una settimana il centro di Gaza city possa tramutarsi una Tahrir Square gemella.
Da "PeaceReporter.net"

lunedì 7 marzo 2011

8 Marzo 1911 - 8 Marzo 2011 Festa della Donna, ma anche IMPORTANTE ricorrenza.

Domani 8 marzo è conseutudine festeggiare la festa della donna, ma forse non tutti sanno che tale data, è una ricorrenza perchè esattamente 100 anni fa, in una fabbrica morirono decine di donne per un errore umano. Non possiamo altro che ricordarle ed onorarle così quelle povere ragazze uccise mentre facevano il loro lavoro.

Oggi più che mai le ricordiamo e le onoriamo e augurando a tutte le DONNE un felice 8 marzo, speriamo che questa data possa far RIFLETTERE e che finalmente possiamo DIRE BASTA alle continue violenze che le donne subiscono ogni giorno, torture, violenze sessuali, lapidazioni, ingiustizie e ogni altra brutalità. BASTA, DOBBIAMO RENDERCI CONTO CHE LE DONNE SONO UNA RISORSA DA CUSTODIRE E PROTEGGERE, SONO IL FRUTTO DA FAR MATURARE, SONO LA RICCHEZZA E LA QUALITA' DI UN POPOLO. LE DONNE VANNO SEMPLICEMENTE AMATE.

Libia sull'orlo di una guerra civile. I telegiornali italiani difendono Gheddafi

E' drammatica la situazione che ogni giorno, giorno dopo giorno, va delineandosi in Libia. Ogni giorno muoiono vittime innocenti di una guerra, che nessuno chiama guerra, scoppiata a cuasa dei bombardamenti continui dell'esercito di Gheddafi. Tutto nasce all'incirca un mese quando anche in Libia, dopo lo scoppio di rivolte popolari in Tunisia, Algeria, Egitto, per contrastare il loro regime per ottenere diritti di cui non godono, il popolo libico sull'onda di questi fatti scende in piazza a manifestare il proprio dissenso contro il suo leader politico Gheddafi, dittatore da oltre 20 anni.
Inizialmente tutto sembrava nato come una rivolta pacifica, ordinata, libera, nata da unn dissenso di un popolo che dopo anni di torture, mai raccontate e ingiustizie subite mai condannate, si ritrova unito ad afforntare il suo leader. Dopo giorni di pacifica rivolta, iniziano a sorgere le prime insicurezze di Gheddafi che si sente tradito, abbandonato dal suo popolo, e decide allora di infiltrare suoi alleati tra la popolazione pacifica per dimostrare che tutti coloro che vanno contro il regime sono dei rivoltosi. Oggi a distanza di giorni la situazione è degenerata e purtroppo è scoppiata una vera e propria guerra civile, ma nessuno lo dice, nessuno sa niente.
In Italia, i nostri telegiornali, specialmente il Tg1 del fascista di Minzolini, difende Gheddafi, definendolo vittima di questi rivoltosi libici. Purtroppo fa così anche Silvio Berlusconi difendendo il suo amico ed impegnato a farsi i Casi suoi e senza mai, preoccuparsi di un Paese, la nostra Italia, che è sull'orlo di una crisi. E' vergognoso che un capo di Stato difende a spada tratta un altro capo di Stato solo perchè l'Italia, ahimé, ha degli accordi economici con la suddetta Libia. Io credo solo che sia paura, perchè di fronte a queste rivolte, a questi scontri che si stanno verificando in Libia e in tutti i Paesi nordafricani, non si può difendere un politico, ma solamente rimboccarsi le maniche ed evitare il tracollo del nostro Paese.
Io oggi non sono qui a difendere, il popolo libico, nemmeno a condannare qualcuno, voglio semplicemente dire che tutte queste rivolte scoppiate, guarda caso proprio in Africa nello stesso momento, non sono frutto del caso o banali rivolte, ma sono secondo me l'avvio di uno momento socio-economico-politico, al quale presto o tardi tutti dovremmo arrenderci. Queste rivolte non nascono per caso, nascono a mio personalissimo parere, come rivolta al Capitalismo, che da anni ormai è satura e vive in una profonda crisi sistemica, che non riguarda solo una crisi economica, ma è anche una crisi politica, sociale e ambientale.
Questa lotta al Capitalismo, scoppiata nei Paesi africani nasce dalla voglia di questi popoli di autodeterminarsi, per dire basta ai loro regimi e per creare una Costituzione vera che rispetti i sani principi della democrazia, che in questi anni abbiamo perso. Ripartiamo dall'Africa per ricostruire la democrazia, per ritrovare quel senso di libertà e di pace che oggi resta solo utopia.

venerdì 4 marzo 2011

Storie di Pace...Malcom X


La "Storia di Pace" di questa settimana è dedicata a Malcom X, fratello nero che ha lottato per la difesa di diritti umani del popolo afroamericano e in difesa di tutti gli uomini.

Non c'è bisogno di aggiungere altro, cari lettori e non resta che augurarvi buona lettura, con la speranza che ogni giorno diventate sempre di più. Grazie a tutti. Buona lettura!!!!!!!!!!!

giovedì 3 marzo 2011

E la chiamano democrazia...

Ieri 2 febbraio 2011, si è consumato un nuovo atto che ha sconvolto la politica italiana. E' stata approvato alla Camera dei Deputati, il decreto legge sul federalismo fiscale. Il DDL è stato approvato con a maggioranza, grazie anche alla fiducia chiesta da Berlusca.
Ovviamento l'esito di questo voto era quasi scontato dato che non abbiamo più una vera democrazia, ma nessuno se ne rende conto. La nostra Costituzione viene ogni giorno infangata, e non vengono rispettati i sani principi della democrazia.
E' drammatico che questa legge venga approvata, proprio nel 150 anniversario dell'Unità d'Italia, che sia un caso o no, questi uomini di merda che ci rappresentano, di destra o sinistra che siano, non sono in grado di poter governare. Ma il problema non è Silvio Berlusconi, ma credo che sia anche colpo di un'opposizione incapace che non propone nessuna alternativa concreta e fa solo chiacchiere a partire da quel Bersani che è un grandissimo ebete. AIo credo però che il vero problema non siano i politici, ma che la vera causa di questo periodo di crisi politica in Italia, nasca dall'incapacità del popolo, che non si rende conto del grande rischio a cui va incontro l'Italia, il rischio di far diventare il nostro Paese una dittatura. La nostra è ovviamente una popolazione, ma una realtà alla quale presto dovremmo arrenderci se il Popolo italiano continua a dormire. Dobbiamo svegliarci per difendere l'Unità d'Italia, per difendere quel sentimento popolare che ha spinto giovani ventenni e poco più a lottare, ben 150 anni fa, per fondare una nazione unita, democratica e giovane. Oggi dopo 150 anni, i giovani italiani si sono spenti, si sono arenati, tirando i remi in barca e ormeggiano da qualche anni sulle rive di ideali sbagliati, ideali anticostituzionali, antidemocratici, antiumanitari.
Svegliamoci, giovani, svegliamoci, ritroviamo in noi quel sentimento popolare che per anni ha contraddistinto quelle generazioni di giovani che credevano in un cambiamento concreto. Bisogna fare una rivoluzione, ma non servono armi, non servono guerriglie, bisogna rivoluzionare il nostrro Paese attraverso sani ideali di Pace e Non Violenza, attraverso la nostra sana cultura, i nostri sani ideali democratici, i nostri liberi pensieri. Non possiamo più permetterci di restare in silenzio di fronte a tutto questo, dobbiamo reagire reinvetare il nostro Paese con idee giovani, dare una spallata a tutti questi politici incapaci e lottare pacificamente per la democrazia, cambiando non solo la nostra politica, ma tentare una nuova strada basata su un nuovo modello di sviluppo che vada oltre il capitalisamo, ormai vittima di una crisi sistemica, prendendo esempio dai Paesi dell'America Latina, che con il loro nuovo modello di sviluppo chiamato "Vivir Bien" hanno avviato un processo "rivoluzionario" che vede oltre il capitalismo, basato sull'integrazione e la cooperazione dei popoli, tenendo in considerazione le tradizioni indigene in rispetto e coabitazione con "Pachamama", la Natura "Madreterra". Tale modello non guarda solo ad un sano sviluppo economico, ma comprende anche uno sviluppo solidale, ambientale e culturale.
Seguiamo l'esempio dei Fratelli Sudamericani e pacificamente riprendiamoci la Nostra Italia.

venerdì 25 febbraio 2011

Storie di Pace...Rosa Parks


Eccoci. Siamo tornati!!!!!!!!!!


La Storia di Pace di questa settimana è quella di Rosa Parks, la donna afroamericana che il 1 dicembre 1955, seduta sull'autobus in un posto riservato ai bianchi, si rifiutò di cederlo proprio a un bianco...La sua storia completa la potrete torvare in "Storie di Pace"

martedì 8 febbraio 2011

Cuba, il popolo sovrano

Più di cinquantamila incontri per spiegare la riforma voluta da Castro

E' possibile informare una nazione intera sulle riforme che un governo vuole adottare per snellire e modernizzare uno Stato? La risposta, se consideriamo l'esempio cubano, non può che essere affermativa.

Le notizie degli ultimi mesi narrano della profonda ristrutturazione del mondo del lavoro nell'isola. Un modello nuovo, che costerà anche molto alla società cubana. E che non nasconde dei rischi: la perdita di tanti posti di lavoro (anche se poi vi sarà una riconversione in altri settori) potrebbe scatenare proteste nella popolazione e di conseguenza una crisi sociale profonda.

Per spiegare bene le riforme, quindi, serviva una strategia, moderna e sicura. E cosa c'è di meglio che incontrare il popolo e spiegare a voce ciò che sta accadendo. L'idea non è rimasta tale e già da qualche settimana ha preso corpo. Più di 55mila riunioni con la popolazione sono già state effettuate. Molte altre si svolgeranno a breve. A tutte l'affluenza è stata alta. Membri del partito comunista cubano si sono mischiati ai giovani de la Union de Jovenes Comunistas, ai lavoratori, agli studenti. Tutti uniti e con un unico obiettivo: discutere il progetto che si prefigge di cambiare radicalmente alcuni aspetti socio-economici di Cuba.

Soddisfazione è stata espressa dal vicepresidente cubano, Esteban Lazo. "Il processo informatico sta portando alla luce argomenti nuovi. Argomenti utili per la necessaria e improrogabile attuazione del modello socialista cubano" ha detto Lazo alla stampa.

Le proposte emerse durante le riunioni saranno inserite in un documento e presentate per essere discusse al prossimo congresso del Pcc che si terrà ad aprile. "Tutte le proposte, i suggerimenti e le considerazioni emerse durante le riunioni sono da ritenere contributi preziosi. Tutto ciò determina una netta volontà della popolazione nel difendere e rinnovare l'esperienza socialista" ha concluso il vice di Raùl. L'ultima parola, al momento, è proprio del presidente cubano. "Non possiamo portare avanti le trasformazioni che proponiamo se non possiamo contare sul consenso di tutta la popolazione e senza aver ascoltato l'opinione di tutti" ha detto Castro.
Ma in questo cambio di tendenza, non c'entrà la didattatura, come tutti pensano esista a Cuba. Si è che la dinastia Castro regna incontrasta da anni, ma questa è la volontà di un vero popolo sovrano, che vede nel suo leader una ideale concreto. Questo cambio di tendenza, questo nuovo modello, che si sta avviando a Cuba in questi anni, non ha niente a che vedere con il Capitalismo, non ha niente a che vedere con quelle menzogne che le notre televisioni continuano a dirci riguardo Cuba. Il nuovo modello di sviluppo che è stato avviato a Cuba, così come in altri Paesi sudamericani, si chiama Vivir Bien, un modello economico che va oltre ogni immaginazione e che non bada soltanto allo sivluppo economico, ma anche allo sviluppo sociale, culturale, politico e ambientale e civile di un popolo unito, riscoprendendo le origini contadine e indigene, rispettando la natura e soprattutto "Pachamama", ovvero la "Madre Terra".
Non date retta ai giornali, informatevi e scoprirete che Cuba, non è poi così male, e che tutto ciò che vi dicono e solo menzogna di mezzi di comunicazione che si adeguano al distruttivo modello capitalista che oggi ci surclassa e ci affligge.

domenica 30 gennaio 2011

Pakistan, a sei mesi dal monsone 90 mila bambini soffrono ancora la fame

Lo ha riferito l'Unicef che, in collaborazione con il governo federale del Sindh, è impegnata a fronteggiare il problema

Dopo sei mesi dalle inondazioni che hanno devastato il Pakistan, quasi un quarto dei bambini della provincia del Sindh è vittima della malnutrizione. Lo riferisce l'Unicef, secondo cui le stime del governo del Sindh parlano di circa 90 mila bambini, tra i 6 mesi e i tre anni, che versano in difficili condizioni di alimentazione.

In un comunicato, l'agenzia Onu ha espresso il suo sconcerto e ha riferito della sua collaborazione con il governo provinciale e federale al fine di arginare il problema. Il monsone che ha colpito nel luglio e agosto scorsi il Pakistan ha coinvolto 20 milioni di persone, distrutto 1.7 milioni di abitazioni e danneggiato 5.4 milioni di acri di terra coltivabile.


Da "PeaceReporter"

venerdì 28 gennaio 2011

Storie di Pace...Madre Teresa di Calcutta




Eccoci!!!!!!!!!!!!




Cari lettori come ogni venerdì, è stata aggiornata la pagina "Storie di Pace" e questa settimana, raccontiamo la storia di Madre Teresa di Calcutta, che ha donato la sua vita agli altri, diffondendo un sano messaggio di Pace e Non Violenza, attraverso la parola di Dio.

giovedì 27 gennaio 2011

27 Gennaio...Giornata della Memoria, per non dimenticare...MAI!!!!!!!!

Oggi è il Giorno della Memoria, il Giorno in cui tutti sentiamo il dovere di rendere omaggio a tutti quei FRATELLI ebrei, neri, zingari, dissidenti politici, liberi pensatori, donne, bambini, anziani, ma soprattutto UOMINI (inteso come esseri umani in generale) che 66 anni fa sono stati torturati e uccisi brutalmente nei campi di concentramento nazisti. Oggi il giorno in cui i politici si riempono la bocca di belle parole, frasi scontate, che non fanno altro che aumentare il dolore. Parole scontate che fanno morire, ogni anno che passa, quei Fratelli che non dimenticheremo. In questo giorno di dolore, dove tutti predichiamo bene e razzoliamo male, vorrei che una volta per tutte finisse l'omertà di tutti coloro che di fronte al qualunquismo politico, continuano a sovvenzionare guerre devastanti, che provacano ogni giorno dolore. Oggi è il Giorno della Memoria, nel quale io, voglio ricordare i miei Fratelli, torturati 66 anni fa, ma voglio anche sia il giorno della Memoria per ricordare tutti i Fratelli che muoiono ancora oggi nelle guerre ingiuste. Vorrei che questo giorno della Memoria, sia uno spunto per riflettere a fondo, per poter dire basta ad ogni guerra, ad ogni tortura, ad ogni giustizia. Vorrei che questo Giorno della Memoria, sia il giorno da cui partire, per diffondere un sano messaggio di pace e non violenza.

lunedì 24 gennaio 2011

India, pace in Assam

Dopo trent'anni di guerra e oltre quindicimila morti, i ribelli separatisti del Fronte unito di liberazione dell'Assam (Ulfa) si dichiarano pronti a negoziare con il governo indiano
Arabinda Rajkhowa, leader politico dei guerriglieri indipendentisti del Fronte unito di liberazione dell'Assam (Ulfa), ha ufficialmente trasmesso al governo statale la decisione di avviare negoziati di pace per porre fine al trentennale conflitto separatista, costato oltre quindicimila morti e centinaia di miglia di sfollati.

Rajkhowa, rilasciato su cauzione il primo gennaio dopo oltre un anno di prigione, ha inviato una lettera al governatore dell'Assam, Tarun Gogoi, nella quale si comunica che il comitato centrale dell'Ulfa, compreso il comandante militare dei ribelli, Paresh Baruah, si riunirà presto per proporre un primo incontro al governo.

''La lettera che ho ricevuto da Rajkhowa esprime la chiara volontà dell'Ulfa di avviare colloqui di pace. Il quando dipende da loro: ce lo comunicheranno non appena i loro vertici si saranno riuniti e avranno deciso''.

L'intensità dei combattimenti tra ribelli e forze governative è iniziata a calare fin dall'estate del 2008, dopo il cessate il fuoco unilaterale proclamato dalla principale unità da combattimento dell'Ulfa: il 28° battaglione 'Kashmir' del comandante Mrinal Hazarika.

Ma è dal 2009, con l'arresto in Bangladesh di gran parte della dirigenza politica dei ribelli, che le attività militari dell'Ulfa sono praticamente cessate. Le ultime notizie di attacchi ribelli e scontri armati con i militari indiani risalgono all'estate scorsa.

A parte l'incognita sull'accettazione dei negoziati da parte di tutti i comandanti locali dell'Ulfa, bisogna ricordare che in Assam rimangono operativi diversi gruppi ribelli minori: in particolare il Fronte nazionale democratico del Bodoland (Ndfb), che ancora lo scorso novembre si è reso protagonista di violenze a sfondo etnico.

Il Fronte unito di liberazione dell'Assam ha iniziato a combattere nel 1979 per la creazione di uno Stato assamese separato dal governo federale indiano, accusato di sfruttare in maniera colonialistica le risorse naturali - soprattutto petrolio - della fertile valle del Brahmaputra, lasciando nella miseria e nel sottosviluppo le popolazioni locali, che in effetti non hanno mai tratto alcun beneficio dal boom economico indiano.

Da un punto di vista storico, i ribelli assamesi basano le loro rivendicazioni indipendentiste sull'esistenza del Regno di Assam (o di Ahom), fondato nel XIII secolo dopo Cristo e rimasto autonomo dall'India fino alla colonizzazione britannica nel 1826.

Fin dalla sua nascita, l'Ulfa - che originariamente si definiva una forza rivoluzionaria e socialista, contraria al sistema delle caste - è sostenuto, armato, addestrato e finanziato dai servizi segreti pachistani (Isi) e dalla loro emanazione bengalese (Dgfi) in funzione anti-indiana. Le basi dell'Ulfa si trovano in Bangladesh, Buthan e Myanmar.

Oltre agli attacchi contro le forze di sicurezza indiane e agli attentati contro stazioni, treni e strutture petrolifere, l'Ulfa si è contraddistinto anche per una sanguinosa campagna - che ha avuto il suo picco nel 2007 - contro i lavoratori immigrati indiani che, secondo l'Ulfa, il governo di Nuova Delhi manda in Assam come coloni.

A pagare il conto più salato di questa guerra sono stati comunque i civili assamesi, vittime di gravi abusi da parte delle forze armate indiane: arresti arbitrari, torture, stupri, esecuzioni extragiudiziali condotti in nome della 'lotta al terrorismo'.

venerdì 14 gennaio 2011

Haiti, un anno dopo

Dati tremendi a un anno dal sisma. E la comunità internazionale latita

E' passato un anno da quel terribile 12 gennaio, quando la terra haitiana ha tremato tanto forte da distruggere praticamente tutto quello che le stava costruito sopra. Insieme alla distruzione, il terremoto si è portato via centinaia di migliaia di vite umane.
Oltre 220mila sono i morti accertati. Almeno il 35 percento delle vittime aveva meno di 18 anni.
La situazione a 365 giorni da quei terribili minuti non è affatto migliorata. La comunità internazionale non è stata in grado di far partire la macchina della ricostruzione e tutt'oggi circa un milione di persone, fra loro almeno 400mila bambini, vive nelle tendopoli alla mercé di tutto.
A subire le conseguenze di una situazione tragica che non vede una luce di speranza sono i più piccoli.
Secondo le ultime stime, sono almeno 14 mila i minori che sarebbero costretti a lavorare. Più di 4 mila, anche se potrebbero essere molti di più, dormono per le strade delle città, soprattutto nella capitale Port au Prince.

Unicef lancia un altro allarme: molti bambini haitiani sarebbero oggetto di rapimenti per adozioni illegali all'estero. Un affaire redditizio per i trafficanti di uomini che il sisma ha soltanto potuto amplificare. Alcuni mesi fa al confine con la Repubblica Dominicana almeno 1.800 minori sono stati fermati dalle autorità e sottoposti a verifiche. Alcuni di loro erano stati sequestrati. Anche l'aeroporto non è immune da certe storie e sono molti i controlli sui bambini che passano da lì.
Nel frattempo, la ricostruzione promessa fatica ad essere avviata, il colera miete decine di vittime, la politica non dà sufficienti garanzie.
Nemmeno la tornata elettorale ha dato garanzie per una futura stabilità politica dell'isola. La notizia delle ultime ore, infatti, è alquanto clamorosa. Secondo quanto si legge dalle pagine del Washington Post "Un team internazionale di monitoraggio consiglia di escludere il candidato appoggiato dal governo di Haiti dal ballottaggio presidenziale in favore di un musicista popolare finito terzo vicino nei risultati ufficiali impugnati, secondo una copia della relazione ottenuta lunedì da The Associated Press. La relazione dal team dell'Organizzazione degli Stati Americani è stata presentato lunedì al presidente Rene Preval". Insomma, l'ennesima conferma che forze possano essere in grado di gestire, sovvertire e decidere le sorti di quello che da sempre è considerato uno dei paesi più poveri e sottosviluppati del pianeta. E che per l'incapacità e la malafede delle grandi potenze mondiali resterà in questa situazione per molto tempo ancora.

Storie di Pace...La vita di GINO STRADA


Salve Gente!!!!!!!!!!!

Dopo un lungo periodo di stop, siamo tornati.
ABBIAMO aggiornato la pagina "Storie di Pace" che dopo aver letto l'avvincente storia di Don Aniello Manganiello, diamo ora a tutti voi la possibilità di poter conoscere un altro grande uomo che fa valere ogni giorno il suo apporto per la Pace e la Non Violenza, curando le vittime di guerra di Iraq, Afghanistan e tutte le altre guerre dimenticate dai media.
Stiamo parlando di GINO STRADA

giovedì 13 gennaio 2011

Cuba, la Corte Suprema commuta anche l'ultima sentenza di morte

Si tratta di Humberto Eladio Real Suarez, 40enne cubano americano, arrestato nel 1994 con altri membri del Partito per l'Unità nazionale democratica, considerata da Cuba un'organizzazione terroristica
La Corte Suprema cubana ha commutato in una sentenza di 30 anni di carcere anche l'ultima condanna a morte ancora pendente nell'isola caraibica. I gruppi dissidenti cubani riferiscono che si tratta di Humberto Eladio Real Suarez, 40enne cubano americano, arrestato nel 1994 insieme ad altri membri del Partito per l'Unità nazionale democratica, considerata da Cuba un'organizzazione terroristica e da allora nel braccio della morte. Accusato di essersi infiltrato nel paese, Real Suarez era stato condannato alla pena capitale per aver agito contro la sicurezza dello stato e per aver ucciso un uomo con lo scopo di rubargli la macchina. Poche settimane fa erano state commutate altre due sentenze di morte che pendevano sulla testa di due salvadoregni accusati di terrorismo. Pur non essendo stata abolita dall'ordinamento giuridico, la pena capitale non viene applicata a Cuba dal 2003 quando sono stati messi a morte tre cubani accusati di aver dirottato una nave per poter fuggire negli Stati Uniti.

Sudan, sangue sulla frontiera

Oltre sessanta morti in attacchi e imboscate nelle regioni contese tra nord e sud che restano un'incognita preoccupante nei rapporti tra i due Paesi


Un passo avanti e uno indietro. Mentre il Sudan entra nel quarto giorno di un referendum decisivo che pure si sta svolgendo pacificamente, il sangue torna a scorrere laddove era più prevedibile: lungo la martoriata e contesa frontiera tra il nord e il sud del Paese.

Negli ultimi sei giorni si sono registrate imboscate e scontri tra gruppi armati che hanno fatto oltre 60 morti: gli episodi si sono verificati nello stato di Unity, regione petrolifera considerata parte del nuovo Sud Sudan indipendente, nel Kordofan meridionale e ad Abiyei, aree invece sulle quali Khartoum e Juba non hanno ancora trovato un accordo e difficilmente riusciranno a intendersi in un futuro prossimo. Tra venerdì e sabato, quando fervevano gli ultimi preparativi per l'inizio delle operazioni di voto, è partito l'attacco dei miliziani agli ordini di Gatluak Gai, un ex comandante ribelle del Sudan People's Liberation Army (Spla), l'esercito indipendentista che adesso costituirà la colonna portante delle forze armate del Sud Sudan. A Juba sospettano che Gai e i suoi siano incoraggiati e finanziati da Khartoum con l'obiettivo di far deragliare il referendum. Secondo quanto riferito dal generale dell'Spla Gier Chuang Aluong, il ministro degli Interni del Sud Sudan, le milizie hanno attaccato una base dell'esercito regolare, uccidendo sei soldati. Nel contrattacco, i militari avrebbero ucciso oltre 30 miliziani, arrestandone 32, ai quali adesso verrà chiesto chi e perché ha deciso l'assalto e le imboscate.

L'area più calda resta quella di Abiyei, la regione a cavallo della frontiera che fino a pochi anni fa produceva da sola il 25 per cento della ricchezza petrolifera del Sudan. Qui si sarebbe dovuto tenere un referendum speciale per decidere se il territorio è parte del nord o del sud del Sudan. La delicatezza della situazione e l'importanza degli interessi in gioco ha spinto le due parti a rimandarlo a data da destinarsi ma le ferite restano aperte. Domenica hanno cominciato a circolare notizie di un attacco a poliziotti sudsudanesi con un bilancio di 20 morti: le voci sono state confermate dal colonnello Philip Aguer, un portavoce dell'esercito del Sud Sudan. Secondo la ricostruzione dell'ufficiale, ad attaccate sarebbero state truppe delle Forze di Difesa Popolare affiancate da milizie Messereya, una popolazione nomade araba che nella seconda guerra civile sudanese si era schierata con Khartoum. Le stesse milizie sono responsabili dell'attacco ad uno dei pulmini organizzati per riportare gli elettori emigrati nel nord a votare nei loro villaggi: il bilancio è di 10 morti e 18 feriti. Negli ultimi giorni si sono registrati una trentina di episodi analoghi: l'ultimo al confine tra Bahr el Gazel e il Kordofan meridionale, una regione contesa come Abiyei e divisa tra una popolazione cristiana, i Ngok Dinka, che vive prevalentemente di agricoltura, e i Messereya, pastori nomadi che si spingono a sud con il proprio gregge nei periodi di siccità: gli scontri, sempre frequenti, tra i due gruppi per il possesso della terra sono diventati politici, con Juba che si rifiuta di riconoscere loro la cittadinanza (e quindi il diritto di voto) e Khartoum che invece vuole farli votare, sapendo che si opporrebbero alla secessione del sud.

Che però ormai è un dato acquisito, anche perché l'affluenza ha superato il 60 per cento, la soglia al di sotto della quale sarebbe stato dichiarato nullo. Nel sud, non ci si chiede più "come va?" ma "hai votato ?", segno che la popolazione sente tutta l'importanza di un momento percepito come storico. Tanto che oltre 120 mila sudanesi originari del sud ma residenti nella cosiddetta "black belt" attorno a Khartoum, nelle ultime settimane sono tornati nelle terre d'origine per votare. Migliaia di persone sono in arrivo anche da Uganda e Kenya, dove pure l'International Organization for Migration delle Nazioni Unite aveva predisposto seggi elettorali per la diaspora, che in parte non si è fidata dell'Onu, temendo che gli osservatori avrebbero potuto essere infiltrati da agenti sudanesi. L'indipendenza del sud è alle porte: i risultati definitivi verranno annunciati il 14 febbraio. Resta la questione della frontiera: una frontiera etnica ma anche religiosa, tra un nord musulmano e un sud cristiano animista, sulla quale passano anche interessi economici: basta dare un'occhiata ad una mappa satellitare per mettere a confronto le terre verdi della parte meridionale, già ricca di petrolio, e il brullo nord per capire perché Khartoum si opponga alla secessione. A sud si festeggia già ma con un po' di amaro in bocca: mancano ancora alcune terre "irredente": Abiyei, il Kordofan meridionale e il Nilo Blu. Non lo faceva notare un pinco pallino qualsiasi ma Mabior de Garang, il figlio dell'eroe della lotta indipendentista del Sud Sudan, John Garang de Mabior, dando voce al sentimento di molti. La questione andrà affrontata e trovare una soluzione non sarà facile. Intanto, nelle terre contese il sangue è già tornato a scorrere.