Post di Pace...

mercoledì 30 marzo 2011

Il governo peruviano tende la mano agli indigeni

Si tratta delle popolazioni 'incotattate', ossia rimaste isolate dal resto del mondo e in totale armonia con la foresta, che rischiano la morte per l'avidità dei tagliatori di legna

Le autorità peruviane hanno ceduto allapressione internazionale e hanno annunciato la decisione di collaborare con il governo brasiliano per impedire che itaglialegna invadano il territorio delle popolazioni "incotattate", ossia gli indigeni che sono riusciti a evitare finora ogni contatto con la nostra civiltà. Popoli che vivono in sembianza con la natura e il cui ecosistema è fragile e delicato. Qualsiasi cambiamento artificiale potrebbe compromettere per sempre la loro esistenza. "Ci metteremo in contatto con l'istituto brasiliano Funai per proteggere questi popoli e impedire le incursioni illegali dei taglialegna e il saccheggio dell'Amazzonia". Queste le parole del Ministro degli esteri peruviano in un comunicato stampa rilasciato mercoledì 2 febbraio.

Si tratta dunque di una decisione storica, arrivata grazie alla campagna lanciata dalla OngSurvival International per proteggere le terre degli Indiani isolati che abitano nell'area di frontiera tra Perù e Brasile, la quale ha ottenuto una copertura mediatica internazionale. Al centro di tutto, le nuove immagini scattate a questo popolo dalla Funai, il dipartimento governativo degli affari indiani del Brasile, con lo scopo, proprio, di sensibilizzare l'opinione pubblica e salvare il salvabile. Foto che mostrano una comunità prospera e forte con ceste piene di manioca e papaia appena raccolte nei loro orti."Come primo passo è davvero incoraggiante - ha replicato il direttore generale di Survival Stephen Corry - Confidiamo che a questa dichiarazione seguano rapidamente azioni concrete".

A minacciare seriamente la sopravvivenza della tribù è appunto la penetrazione massiccia e illegale dei cercatori di legna pregiata che penetrano in questo fazzoletto di Amazzonia dal lato peruviano del confine. Le autorità brasiliane ritengono che l'invasione stia spingendo gli Indiani isolati peruviani verso il Brasile, e che i due popoli possano entrare in conflitto.

Da anni Survival e altre Ong chiedono al governo peruviano di intervenire con determinazione ed efficacia per fermare l'invasione, ma è stato fatto ben poco.
L'anno scorso, l'organizzazione americana Upper Amazon Conservancy ha effettuato l'ultimo di una serie di voli di ricognizione sul lato peruviano fornendo ulteriori prove del taglio illegale del legname in corso in un'area protetta.

"È necessario ribadire che queste tribù esistono" ha dichiarato oggi Marcos Apurinã, coordinatore dell'organizzazione degli Indiani amazzonici brasiliani Coiab, "quindi abbiamo deciso di appoggiare la diffusione di queste immagini che documentano i fatti. I fondamentali diritti umani di questi popoli vengono ignorati, soprattutto quello alla vita. Pertanto, è di vitale importanza proteggerli."
"Dobbiamo proteggere i luoghi in cui gli Indiani vivono, cacciano, pescano e coltivano - ha precisato, invece, Davi Kopenawa Yanomami, famoso leader degli Indiani brasiliani - Diffondere le immagini degli Indiani incontattati è utile perché mostrano al mondo intero che sono lì, nelle loro foreste, e che le autorità devono rispettare il loro diritto di vivere nelle loro terre".
"Siamo profondamente preoccupati per la mancanza di intervento da parte delle autorità - ha quindi precisato l'organizzazione degli Indiani amazzonici Aidesep - Nonostante le sollecitazioni contro il disboscamento illegale che giungono da fuori e dentro il Perù, non è ancora stato fatto nulla". Almeno finora.

Stella Spinelli (Peacereporter.net)

Libri di Pace...Il contrario della morte di Roberto Saviano

Dopo una lunga attesa eccoci tornati con una nuova proposta letteraria. Calvacando l'onda dell'indiscutibile successo che sta vivendo Roberto Saviano, proponiamo un suo libro pubblicato nel 2008 grazie al contributo del Corriere della Sera.
Per saperne di più, potrete leggere la trama nella pagina "Libri di Pace", con la speranza che possa suscitare la vostra curiosità per potervi immergere così nella storia.

martedì 29 marzo 2011

Cambiamenti a vista d'occhio...sul blog, cambia nome la pagina "Messaggi di Pace"

Cari lettori,
oggi dopo un lungo periodo di attesa siamo tornati ad inserire nella pagina "Messaggi di Pace", un nuovo aforisma. Questa settimana abbiamo dedicato spazio a Jim Morrison, il mitico cantante, che spesso con le sue canzoni, con le sue parole, ci ha lasciato riflettere sulla pace e sul senso della vita.

Ma non finisce qui. Ci siamo resi conto dopo, che la pagina "Messaggi di Pace" doveva subire un cambiamento "epocale", e infatti da oggi abbiamo deciso di cambiare il nome della pagina che da oggi sarà "Aforismi di Pace". Abbiamo deciso di fare cambiamenti per non sminuire i profondi pensieri dei grandi uomini che con le loro parole hanno scritto la storia della Pace e della Non Violenza.

Poesie contro la guerra..."Uomo del mio tempo" di Salvatore Quasimodo

Cari lettori, come forse ben sapete, eccoci, come ogni martedì a rendere omaggio alla pace con una poesia, che potrete trovare nella pagina "Poesie contro la guerra".

La poesia di questa settimana è "Uomo del mio tempo" di Salvatore Quasimodo, scritta nel 1946

Buona lettura!!!!!!!!

La Libia che non si legge sui giornali

Sono stato in Libia, da lavoratore, fino al 21 febbraio scorso quando, costretto dagli eventi, ho dovuto abbandonarla con l’ultimo volo di linea Alitalia.

Ho avuto modo di conoscere gran parte del Paese, da Tripoli a Bengasi, a Ras Lanuf a Marsa El Brega a Gadames, non frequentando gli ambienti dorati, ovattati e distaccati dei grandi alberghi, ma vivendo da lavoratore tra lavoratori e a quotidiano contatto con ambienti popolari, sempre riscontrando cordialità e sentimenti di amicizia per certi versi inaspettati e sorprendenti. Non era raro per strada sentirsi chiedere di poter fare assieme una fotografia da chi si accorgeva di stare incrociando degli italiani, peraltro numerosissimi anche per le tantissime imprese che vi operavano, dalle più grandi (ENI, Finmeccanica, Impregilo ecc.) alle più piccole (infissi, sanitari, rubinetterie, arredamenti ecc.), in un ambiente favorevolissimo, direi familiare…

Da quello che ho potuto constatare il tenore di vita libico era abbastanza soddisfacente: il pane veniva praticamente regalato, 10 uova costavano l’equivalente di 1 euro, 1 kg di pesce spada cira 5 euro, un litro di benzina circa 10 centesimi di euro; la corrente elettrica era di fatto gratuita;

decine e decine di migliaia di alloggi già costruiti e ancora in costruzione per garantire una casa a tutti (150-200 m2 ad alloggio….); l’acqua potabile portata dal deserto già in quasi tutte le città con un’opera ciclopica, in via di completamento, chiamata “grande fiume”; era stata avviata la costruzione della ferrovia ad alta velocità e appaltato il primo lotto tra Bengasi e il confine egiziano della modernissima autostrada inserita nell’accordo con l’Italia; tutti erano dotati di cellulari, il costo delle chiamate era irrisorio, la televisione satellitare era presente sostanzialmente in ogni famiglia e nessun programma era soggetto a oscuramento, così come internet alla portata di tutti, con ogni sito accessibile, compreso i social network (Facebook e Twitter), Skype e la comunicazione a mezzo e-mail.

Dalla fine dell’embargo la situazione, anche “democratica”, era migliorata tantissimo e il trend era decisamente positivo: i libici erano liberi di andare all’estero e rientrare a proprio piacimento e un reddito era sostanzialmente garantito a tutti.

Quando sono scoppiati i primi disordini, la sensazione che tutti lì abbiamo avuto è stata quella che qualcuno stava fomentando rivalità mai sopite tra la regione di Bengasi e la Tripolitania, così come le notizie che rilanciavano le varie emittenti satellitari apparivano palesemente gonfiate quando non addirittura destituite da ogni fondamento: fosse comuni, bombardamenti di aerei sui dimostranti ecc.

Certamente dal punto di vista democratico i margini di miglioramento non saranno stati trascurabili, del resto come in tanti altri paesi come l’Arabia Saudita, la Cina, il Pakistan, la Siria, gli Emirati Arabi, il Sudan, lo Yemen, la Nigeria ecc. ecc… e forse anche un po’ da noi! Pertanto prima o poi qualcuno dovrà spiegare perché in questi Paesi non si interviene…

Sono triste e amareggiato al pensiero di come sarò considerato dagli amici libici che ho lasciato laggiù dopo questa scellerata decisione di stupidissimo interventismo!
*Ingegnere Gruppo ENI

Il cantante cubano Silvio Rodriguez ha definito la risoluzione dell’ONU un atto di barbarie contro la Libia

Durante una conferenza stampa, per presentare il suo concerto di Sabato 19 Marzo nella città domenicana di Santiago, il cantante cubano Silvio Rodriguez ha criticato la risoluzione dell’ONU che di fatto autorizza un’azione militare contro la Libia e l’ha definita un atto barbaro.
Nella sua dichiarazione il cantante ha affermato che non è possibile usare le istituzione che rappresentano tutti gli esseri umani per commettere atti di crudeltà e umiliazione contro la dignità dei paesi e dei popoli e ha concluso ricordando che i paesi dell’Alternativa Bolivariana per le Americhe (ALBA), difende la sovranità delle nazioni e che Cuba sarà sempre a fianco dei paesi liberi.
La risoluzione delle Nazioni Unite che da la possibilità alle nazioni imperialiste aderenti alla NATO di poter bombardare un paese sovrano è effettivamente un atto di vera atrocità, ricordiamo che questi paesi sono gli stessi che uccidono centinaia di civili in Afganistan con la loro guerra umanitaria, che lasciano affogare centinaia di profughi nelle loro traversate della speranza, che hanno sottomesso e colonizzato paesi e popoli sino a quando i movimenti di liberazione, come quello guidato dal Colonnello Gheddafi, non li hanno sconfitti e cacciati, in particolare è interessante ripensare al terribile periodo coloniale francese in Algeria.

venerdì 25 marzo 2011

Storie di Pace...Gene Sharp


La "Storia di Pace" di questa settimana è dedicata a Gene Sharp, filosofo, politico ed intellettuale statunitense, sostenitore del pensiero non violento.

Per leggere la sua storia, basta semplicemente andare in "Storie di Pace".

mercoledì 23 marzo 2011

Filippine, speranze di pace

Dopo sei anni di stallo, è ripreso in Norvegia il negoziato tra la guerriglia maoista del Nuovo Esercito Popolare (Npa) e il nuovo governo del presidente Benigno 'Noynoy' Aquino III

Il conflitto armato filippino tra le forze armate di Manila e i guerriglieri comunisti del Nuovo Esercito Popolare (Npa), iniziato nel lontano1969 e costato finora oltre 40 mila morti, sembra finalmente arrivato alla fine.

Nei giorni scorsi, il gruppo armato fondato e capeggiato dall'anziano intellettuale maoista José Maria Sison - da anni rifugiato in Olanda - hanno accettato la ripresa dei negoziati di pace, interrotti nel 2004dall'allora presidentessa Gloria Arroyo.

Dopo oltre sei anni di stallo, durante il quali il conflitto armato è riesploso con violenza e lo stesso Sison ha subito un arresto in Olanda, martedì i negoziatori delle due parti sono tornati a sedersi attorno a un tavolo in Norvegia, alla periferia di Oslo.

A dare speranza è il fatto che per la prima nella storia di questo conflitto, l'Npa ha ha accettato di rispettare un cessate il fuoco di sette giorni per favorire la ripresa del dialogo:non era mai successo da quando, venticinque anni fa, ribelli e governo hanno iniziato a parlarsi.

La svolta di questi giorni è il risultato del nuovo corso politico intrapreso dalle Filippine dopo l'elezione di Benigno 'Noynoy' Aquino III. Il nuovo presidente, erede della tradizione politica popolare di sua madre Corazon, ha offerto all'Npa riforme sociali in cambio della pace.

I guerriglieri, che ufficialmente combattono per instaurare un governo socialista, potrebbero accettare di deporre le armi in cambio di serie iniziative del governo per contrastare le drammatiche ingiustizie e diseguaglianze che ancora affliggono le zone rurali dell'arcipelago filippino.

Secondo un recente rapporto dell'International Crisis Group (Icg), il ritorno al tavolo negoziale è anche il frutto dell'età ormai avanzata della leadership politica dell'Npa - ormai consapevole del fatto che non riuscirà mai a vedere il trionfo della rivoluzione - e del del riconoscimento, da parte dei vertici militari filippini, dell'impossibilità di una vittoria definitiva sulla ribellione.

Negli ultimi anni, infatti, la guerriglia maoista filippina si è rafforzata sia in termini di uomini, che di territorio controllato che di azioni condotte: tutto questo nonostante l'intensificazione delle operazioni militari di contro-insurrezione, spesso affidate a gruppi paramilitari che si sono macchiati di gravi crimini e violazioni dei diritti umani.

Il timore del presidente Aquino è che alcuni generali, quelli della destra oltranzista dell'esercito, notoriamente contraria a ogni trattativa con ''i terroristi rossi'', possano sabotare la ripresa dei negoziati. Timori cresciuti dopo la cattura di uno dei leader storici dell'Npa, Alan Jazmines, operata dai militari lunedì, proprio alla viglia dei negoziati di Oslo.

Da: "Peacereporter.net

martedì 22 marzo 2011

Evo Morales ha chiesto di revocare il Premio Nobel per la Pace al presidente americano Barack Obama

Evo Morales ha chiesto di revocare il Nobel per la Pace al presidente americano Barack Obama, che il leader socialista della Bolivia ritiene indegno del premio perché‚ "promuove la violenza" con l'intervento militare in Libia. Obama "in questo momento difende la pace o incoraggia piuttosto la violenza? Come è possibile che un premio Nobel per la Pace possa avviare un'invasione, un bombardamento?", ha chiesto il presidente latino-americano. Il presidente boliviano si è rivolto direttamente al Comitato dei Nobel norvegese di ritirare il premio assegnato al presidente degli Stati Uniti Barack Obama nell'ottobre del 2009, a pochi mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca. "Come è possibile - ha detto Morales che un premio Nobel per la Pace guidi una combriccola per assalire e invadere, questa non è difesa dei diritti umani nè (rispetto) per l'autodeterminazione dei popoli". Poi Morales è tornato a criticare la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla Libia: "L'Onu dovrebbe piuttosto chiamarsi Oni, ovvero Organizzazione delle Nazioni che Invadono" ha dichiarato con amarezza !

Poesie contro la guerra...Dario Bellezza

Salve a tutti, FRATELLI di PACE!!!!!!!

Dopo molto tempo, dall'ultima poesia pubblicata nella pagina "Poesie contro la guerra", torniamo in grande stile e lo facciamo con la poesia di Pace, "Se viene la guerra" di Dario Bellezza, poeta e scrittore omosessuale, morto di AIDS nel 1996

NON FATEVI INGANNARE DAL TITOLO, LA POESIA E' UN INNO ALLA NON VIOLENZA E SUSCITA GRANDE EMOZIONE.

BUONA LETTURA!!!!!!!!!!

Quando una guerra la chiamano risoluzione...

Sono passati tre giorni, dall'inizio della guerra in Libia, e stampa e telegiornali italiani, salvo qualche eccezione, non citano questa parola terribile. Non la chiamano guerra, non la chiamano attacco, ma la chiamano semplicemente risoluzione, perchè gli Stati della Nato, si professano i protettori del popolo libico per debellare il dittatore Gheddafi.
Ma noi liberi pensatori, ci chiediamo: Come può una guerra essere chiamata risoluzione? Come si può mandar via un dittatore con la forza delle armi?
Personalmente, rispondendo a questo domande, mi trovo a dover dire che questa non è la soluzione migliore, perchè in questo sporco gioco di affari commerciali, si ritrovano invischiati vittime innocenti. Il vero problema è che questa guerra contro Gheddafi, perché cosi si chiama, vuole nascondere le paure delle Potenze europee e degli Usa che non potranno gestire più il petrolio, risorsa fondamentale per lo sviluppo di questo capitalismo di merda.
che Gheddafi sia un dittatore da mandare via, è chiaro ed evidente, perchè dopo molti anni una dittatura è destinata a morire da sola, perchè di fronte a questa terribile forma di governo, si oppone un popolo che cerca la sua autodeterminazione. Io credo che per liberarci di Gheddafi, benché con molta difficoltà, si debba arrivare al dialogo, e dovrebbero iniziare proprio i suoi "amici" Berlusconi e Putin, ma così non sarà e i bombardamenti continueranno, anche nel nome di Barack Obama, l'uomo della "speranza" il Presidente americano, primo nero eletto, che doveva cambiare le sorti del mondo, apportando la vera democrazia senza uso di armi come sosteneva nei suoi discorsi di insediamento. Invece a tre anni dalla sua elezione è diventato "schiavo" anche lui del sistema capitalista e dei servizi segreti. Uomini così, sono solo dei falsi e inutili che illudono la gente, e che oltre le guerre non hanno altro modo per risolvere un problema.
Ogni uomo che, inizia una guerra per dimostrare la sua forza, è uomo debole, vittima di un sistema informe che sta distruggendo la regolare Natura della Terra, ma il disegno Divino è ben più grande di quel che pensano i nostri politici filo-capitalisti, che presto ci condurranno alla totale distruzione.

venerdì 11 marzo 2011

Storie di Pace...Angelo Frammartino


Ecco per voi una nuova "Storia di Pace", dedicata questa settimana ad Angelo Frammartino, volontario in una missione di Pace VERA, non come le pseudo "missioni di pace" dei militari mercenari, che con le armi sparano sui civili. Angelo ha dato il suo contributo in Palestina aiutando i bambini vittime del conflitto israelo-palestinese. Ma Angelo non è molto di più...non voglio dirvi altro, andate nella pagina "Storie di Pace" e lo scoprirete voi...


"Le vere missioni di Pace, sono quelle che compiamo agendo con il cuore e l'amore. Non con le armi." Daniele Pastore

giovedì 10 marzo 2011

Per una Palestina unita

Mentre si avvicina la giornata della riconciliazione, i movimenti giovanili di Gaza gridano la loro indipendenza dalle strumentalizzazioni della stampa e della politica

Dopo il vaffanculo ad Hamas, Israele, Fatah, Onu, Unwra e il vaffanculo Usa!, incipit del primo documento dei Gybo, i ragazzi di Gaza desiderano mandare a quel paese anche tutti quei media occidentali che in queste settimane hanno strumentalizzato il loro manifesto, il cyber-urlo di rabbia di una generazione di giovani palestinesi oppressa da un nemico esterno e soffocata all'interno da governi a corto di lungimiranza e poco rappresentativi. Nel caffè degli artisti di Gaza City dove sono solito incontrarli, ho cercato di spiegare come molti giornalisti europei e americani sbarcano a Tel Aviv ed oltrepassano il valico di Erez con già il pezzo scritto in testa, e nella Striscia vanno a caccia di conferme contro il governo di Gaza. E in effetti, dal Guardian fino a La Stampa, il loro primo urlo di sfogo, magari ingenuo ma certamente genuino, e' stato dipinto come un attacco diretto ad Hamas. Questa mistificazione, è stata poi raccolta ancora più ingenuamente e rilanciata da molti attivisti in Europa e nel mondo, specie da coloro che insistono a sostenere una fazione a scapito dell'altra ignorando che di fatto la rabbia della maggior parte dei ragazzi palestinesi non ha al momento alcuna rappresentanza politica. Addirittura alcuni da fuori dalla Striscia hanno accusato i Gybo di essere a libro paga di Abu Mazen e la sua cricca di collaborazionisti; intellettuali e attivisti seduti nei loro confortevoli salotti che non si sono mai sporcati mai le mani del sangue e della sofferenza di un popolo in perenne lotta contro l'occupazione,e che non si scomodano neanche di approfondire le questioni sui qui discettano con la protervia dell'onniscenza.. Dopo tutto, per sciogliere ogni dubbio sulla assoluta buona fede e autenticità del movimento Gybo non è necessaria un'indagine investigativa da premio Pulitzer, ma basta digitare sulla tastiera l'indirizzo del loro sito e leggersi il loro secondo messaggio, pubblicato ben 2 mesi fa, nel quale con forza rispedivano al mittente le strumentalizzazioni e le accuse di chi li ha additati di parteggiare per questa o quella fazione. Oggi i Gybo sono colonna portante del movimento 15 marzo, che si propone di portare sulle piazze della Palestina e nel mondo migliaia di persone, in una giornata che è stata battezzata non della collera, ma bensì della riconciliazione, con una forte e sensata richiesta di "End of division", la fine della divisione fra Fatah e Hamas. "Gaza, Ramallah, Jenin, Nablus, ma anche in molte città della Palestina del '48 come Haifa e Tel Aviv, ci saranno manifestazioni e sit-in, oltre che in tutto il mondo arabo e in Brasile, in Italia, in Francia e in Italia" mi conferma Abu Yazan. Gaza è in fermento, e mentre i ragazzi mi aggiornano sui preparativi, a Sud della Striscia, a Khan Younis e Rafah volantinaggi stanno informando la popolazione dell'evento. "Buona parte delle famiglie beduini è dalla nostra parte, e in generale, non crediate si riverseranno in piazza solo giovani, ma bensì padri madri e nonni," continua Abu Yazan, "abbiamo colloqui stretti con tutti i i leader delle varie fazioni e sono i benvenuti con noi il 15 marzo, a patto che non espongono alcuna bandiera se non quella palestinese, e non intonino altri slogan se non quello che richiamino all'unità nazionale". I ragazzi sono ancora più motivati e certi della riuscita del loro evento, nonostante l'oppressione e l'intimidazione che a Gaza come a Ramallah inibisce la libertà di espressione: nella Striscia negli ultimi due giorni, la polizia di Hamas ha arrestato dodici giovani che distribuivano depliant e adesivi sull'evento. Continua Any Yazen: "La Croce Rossa ci ha fornito delle tende e l'idea è quella di restare accampati dal 15 marzo giorno e notte senza sosta (a dormire in piazza rimarrebbero solo gli uomini per non scandalizzare i dettami del governo della Striscia) fin quando Gaza e Ramallah non si siedano ad un tavolo comune. Alcune famiglie benestanti ci hanno promesso forniture di cibo e bevande, agli arghile provvederemo noi", continua, "ci stiamo accordando con la polizia di Hamas e abbiamo predisposto un nostro servizio di sicurezza interna affinchè' ogni atto di violenza o il semplice inneggiare contro il senso della nostra giornata sia inibito. Chiunque creerà disordine verrà allontanato dalla piazza". La rivoluzione dei giovani egiziani brucia nei loro occhi, e contagia la loro convinzione che fra una settimana il centro di Gaza city possa tramutarsi una Tahrir Square gemella.
Da "PeaceReporter.net"

lunedì 7 marzo 2011

8 Marzo 1911 - 8 Marzo 2011 Festa della Donna, ma anche IMPORTANTE ricorrenza.

Domani 8 marzo è conseutudine festeggiare la festa della donna, ma forse non tutti sanno che tale data, è una ricorrenza perchè esattamente 100 anni fa, in una fabbrica morirono decine di donne per un errore umano. Non possiamo altro che ricordarle ed onorarle così quelle povere ragazze uccise mentre facevano il loro lavoro.

Oggi più che mai le ricordiamo e le onoriamo e augurando a tutte le DONNE un felice 8 marzo, speriamo che questa data possa far RIFLETTERE e che finalmente possiamo DIRE BASTA alle continue violenze che le donne subiscono ogni giorno, torture, violenze sessuali, lapidazioni, ingiustizie e ogni altra brutalità. BASTA, DOBBIAMO RENDERCI CONTO CHE LE DONNE SONO UNA RISORSA DA CUSTODIRE E PROTEGGERE, SONO IL FRUTTO DA FAR MATURARE, SONO LA RICCHEZZA E LA QUALITA' DI UN POPOLO. LE DONNE VANNO SEMPLICEMENTE AMATE.

Libia sull'orlo di una guerra civile. I telegiornali italiani difendono Gheddafi

E' drammatica la situazione che ogni giorno, giorno dopo giorno, va delineandosi in Libia. Ogni giorno muoiono vittime innocenti di una guerra, che nessuno chiama guerra, scoppiata a cuasa dei bombardamenti continui dell'esercito di Gheddafi. Tutto nasce all'incirca un mese quando anche in Libia, dopo lo scoppio di rivolte popolari in Tunisia, Algeria, Egitto, per contrastare il loro regime per ottenere diritti di cui non godono, il popolo libico sull'onda di questi fatti scende in piazza a manifestare il proprio dissenso contro il suo leader politico Gheddafi, dittatore da oltre 20 anni.
Inizialmente tutto sembrava nato come una rivolta pacifica, ordinata, libera, nata da unn dissenso di un popolo che dopo anni di torture, mai raccontate e ingiustizie subite mai condannate, si ritrova unito ad afforntare il suo leader. Dopo giorni di pacifica rivolta, iniziano a sorgere le prime insicurezze di Gheddafi che si sente tradito, abbandonato dal suo popolo, e decide allora di infiltrare suoi alleati tra la popolazione pacifica per dimostrare che tutti coloro che vanno contro il regime sono dei rivoltosi. Oggi a distanza di giorni la situazione è degenerata e purtroppo è scoppiata una vera e propria guerra civile, ma nessuno lo dice, nessuno sa niente.
In Italia, i nostri telegiornali, specialmente il Tg1 del fascista di Minzolini, difende Gheddafi, definendolo vittima di questi rivoltosi libici. Purtroppo fa così anche Silvio Berlusconi difendendo il suo amico ed impegnato a farsi i Casi suoi e senza mai, preoccuparsi di un Paese, la nostra Italia, che è sull'orlo di una crisi. E' vergognoso che un capo di Stato difende a spada tratta un altro capo di Stato solo perchè l'Italia, ahimé, ha degli accordi economici con la suddetta Libia. Io credo solo che sia paura, perchè di fronte a queste rivolte, a questi scontri che si stanno verificando in Libia e in tutti i Paesi nordafricani, non si può difendere un politico, ma solamente rimboccarsi le maniche ed evitare il tracollo del nostro Paese.
Io oggi non sono qui a difendere, il popolo libico, nemmeno a condannare qualcuno, voglio semplicemente dire che tutte queste rivolte scoppiate, guarda caso proprio in Africa nello stesso momento, non sono frutto del caso o banali rivolte, ma sono secondo me l'avvio di uno momento socio-economico-politico, al quale presto o tardi tutti dovremmo arrenderci. Queste rivolte non nascono per caso, nascono a mio personalissimo parere, come rivolta al Capitalismo, che da anni ormai è satura e vive in una profonda crisi sistemica, che non riguarda solo una crisi economica, ma è anche una crisi politica, sociale e ambientale.
Questa lotta al Capitalismo, scoppiata nei Paesi africani nasce dalla voglia di questi popoli di autodeterminarsi, per dire basta ai loro regimi e per creare una Costituzione vera che rispetti i sani principi della democrazia, che in questi anni abbiamo perso. Ripartiamo dall'Africa per ricostruire la democrazia, per ritrovare quel senso di libertà e di pace che oggi resta solo utopia.

venerdì 4 marzo 2011

Storie di Pace...Malcom X


La "Storia di Pace" di questa settimana è dedicata a Malcom X, fratello nero che ha lottato per la difesa di diritti umani del popolo afroamericano e in difesa di tutti gli uomini.

Non c'è bisogno di aggiungere altro, cari lettori e non resta che augurarvi buona lettura, con la speranza che ogni giorno diventate sempre di più. Grazie a tutti. Buona lettura!!!!!!!!!!!

giovedì 3 marzo 2011

E la chiamano democrazia...

Ieri 2 febbraio 2011, si è consumato un nuovo atto che ha sconvolto la politica italiana. E' stata approvato alla Camera dei Deputati, il decreto legge sul federalismo fiscale. Il DDL è stato approvato con a maggioranza, grazie anche alla fiducia chiesta da Berlusca.
Ovviamento l'esito di questo voto era quasi scontato dato che non abbiamo più una vera democrazia, ma nessuno se ne rende conto. La nostra Costituzione viene ogni giorno infangata, e non vengono rispettati i sani principi della democrazia.
E' drammatico che questa legge venga approvata, proprio nel 150 anniversario dell'Unità d'Italia, che sia un caso o no, questi uomini di merda che ci rappresentano, di destra o sinistra che siano, non sono in grado di poter governare. Ma il problema non è Silvio Berlusconi, ma credo che sia anche colpo di un'opposizione incapace che non propone nessuna alternativa concreta e fa solo chiacchiere a partire da quel Bersani che è un grandissimo ebete. AIo credo però che il vero problema non siano i politici, ma che la vera causa di questo periodo di crisi politica in Italia, nasca dall'incapacità del popolo, che non si rende conto del grande rischio a cui va incontro l'Italia, il rischio di far diventare il nostro Paese una dittatura. La nostra è ovviamente una popolazione, ma una realtà alla quale presto dovremmo arrenderci se il Popolo italiano continua a dormire. Dobbiamo svegliarci per difendere l'Unità d'Italia, per difendere quel sentimento popolare che ha spinto giovani ventenni e poco più a lottare, ben 150 anni fa, per fondare una nazione unita, democratica e giovane. Oggi dopo 150 anni, i giovani italiani si sono spenti, si sono arenati, tirando i remi in barca e ormeggiano da qualche anni sulle rive di ideali sbagliati, ideali anticostituzionali, antidemocratici, antiumanitari.
Svegliamoci, giovani, svegliamoci, ritroviamo in noi quel sentimento popolare che per anni ha contraddistinto quelle generazioni di giovani che credevano in un cambiamento concreto. Bisogna fare una rivoluzione, ma non servono armi, non servono guerriglie, bisogna rivoluzionare il nostrro Paese attraverso sani ideali di Pace e Non Violenza, attraverso la nostra sana cultura, i nostri sani ideali democratici, i nostri liberi pensieri. Non possiamo più permetterci di restare in silenzio di fronte a tutto questo, dobbiamo reagire reinvetare il nostro Paese con idee giovani, dare una spallata a tutti questi politici incapaci e lottare pacificamente per la democrazia, cambiando non solo la nostra politica, ma tentare una nuova strada basata su un nuovo modello di sviluppo che vada oltre il capitalisamo, ormai vittima di una crisi sistemica, prendendo esempio dai Paesi dell'America Latina, che con il loro nuovo modello di sviluppo chiamato "Vivir Bien" hanno avviato un processo "rivoluzionario" che vede oltre il capitalismo, basato sull'integrazione e la cooperazione dei popoli, tenendo in considerazione le tradizioni indigene in rispetto e coabitazione con "Pachamama", la Natura "Madreterra". Tale modello non guarda solo ad un sano sviluppo economico, ma comprende anche uno sviluppo solidale, ambientale e culturale.
Seguiamo l'esempio dei Fratelli Sudamericani e pacificamente riprendiamoci la Nostra Italia.